Pochi giorni dopo l’aggressione, Gabriotti prese parte al convegno provinciale del P.P.I. di Spoleto dedicato all’elaborazione del programma per le imminenti elezioni amministrative. Presentò l’ordine del giorno votato dalla sezione tifernate e raccolse su di esso il consenso dell’assemblea.
Intanto l’Unione del Lavoro intensificava gli sforzi per organizzare i settori del mondo rurale ancora sfuggiti all’egemonia politica e sindacale socialista. Si trattava dei piccoli possidenti, tenacemente a difesa della loro proprietà, e delle fasce emarginate dei contadini di montagna. Le tristi condizioni di vita di costoro, che talvolta non riuscivano a ricavare dal podere il necessario a sostenere la famiglia, indusse il sindacato cattolico a presentare un memoriale radicalmente innovativo, chiedendo per questi coloni la ripartizione di tre parti al contadino e due al padrone. Quanto ai piccoli proprietari, l’Unione si propose come l’unica associazione in sintonia con i loro interessi: “Di fronte al socialismo abolitore di ogni forma di proprietà, di fronte allo Stato, che ogni giorno gratta ai piccoli per risparmiare i grandi, (i piccoli proprietari) hanno il preciso dovere di stringersi compatti attorno alla nostra bianca bandiera di giustizia sociale”.
Il sindacato cattolico, che contava oltre 500 associati, molti dei quali iscritti come capifamiglia, confidava nell’opera di proselitismo di Gabriotti. In effetti gli impegni di lavoro lo portavano a muoversi con frequenza da una parte all’altra della vallata, fino agli angoli più lontani e impervi. Teneva contatti con i parroci di montagna e doveva trattare questioni pertinenti le proprietà agricole ecclesiastiche con i possidenti della zona. Nessuno meglio di lui poteva cercare di ampliare l’ancora fragile rete organizzativa che nelle campagne si opponeva alla montante marea socialista.
Nelle peregrinazioni per ragioni d’ufficio, Gabriotti constatò quanto l’esasperazione dei mezzadri avesse raggiunto il livello di guardia a causa di ciò che gli stessi cattolici definivano “insincerità” e “avarizia” dei proprietari. Molti di costoro si rifiutavano di chiudere con correttezza e puntualità i conti colonici annuali, né rimborsavano ai contadini parte delle spese supplementari da essi sostenute per sostituire nei lavori dei campi i famigliari al fronte durante la guerra. Inoltre crescevano le disdette contrattuali per punire o intimidire i mezzadri più combattivi; e su chi veniva cacciato dal podere incombeva lo spettro della fame. La denuncia di tale stato di cose trovò concordi socialisti e cattolici. La stessa associazione dei proprietari terrieri finì con l’ammettere la “mente retrograda” di diversi suoi aderenti.
L’estratto è una breve sintesi, senza note, del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).