Tofani Tullio. Partigiano nei Balcani

Tofani, muratore di Viaio (Anghiari) combatté la Resistenza nell’ex Jugoslavia. Questo il suo racconto.

 

Dall’armistizio alla Brigata Garibaldi
Ero caporal maggiore nel “Venezia”, attendente del tenente Gamberini, diventato poi generale.
Dopo l’8 settembre 1943 il generale della Divisione, Oxilia, chiamò a raccolta gli ufficiali e disse: “Io non mi arrendo, se venite con me, vi assicuro che si tornerà in Italia armati”. Ma diversi andarono coi tedeschi.
Verso il 14 di ottobre1943 il generale fece un accordo con Tito e il suo esercito e si divenne Brigata Garibaldi. Il 24 ottobre si andò alla macchia con gli slavi. Ma io li seguii dopo circa una settimana, perché ero stato ferito da un bombardamento aereo tedesco il 22 ottobre. Ebbi l’incarico, con un braccio a tracolla, di fare il portaordini.
Gli slavi potevano ammazzarci tutti, invece ci hanno accettato con loro. In qualcuno c’era risentimento, per la repressione che aveva portato avanti l’esercito italiano.
Un giorno mi fermano due partigiane e mi portano al comando per controlli. Mi chiedono se voglio entrare nelle brigate combattenti o nei battaglioni lavoratori. Volevo fare il combattente, ma vedendo che ero ferito mi inseriscono in un battaglione lavoratori.
Nella nostra compagnia c’era un ufficiale slavo che faceva il commissario al fianco del comandante italiano.
Tra ufficiali e soldati ci si dava del tu, era venuta meno l’ufficialità, si mangiava e ci si arrangiava insieme.
Per noi le regole erano severe, non si poteva frequentare le donne se non per servizio; rischiavi la fucilazione. Fucilavano anche se rubavi una patata. Era un esercito rigorosissimo. Non si ammetteva ladrocinio.
Cuoco della compagnia
Ero in una compagnia a guardia dell’ospedale, o presunto tale. Poi il comandante mi chiede se volevo fare il cuoco, e io “Sì, ma che si cuoce?”… Così feci il cuoco; cucinavo quello che portavano con le requisizioni. Loro non mangiavano né le teste di animale, né il fegato, né le budella: io invece li pulivo e li mangiavo. In quei 4 mesi, in Bosnia, non ebbi problemi di fame.
In Bosnia
Un giorno mi capitò davanti il ten. Gamberini. Lì per lì non ci si riconobbe. Lui aveva perso gli occhiali; e aveva la barba lunga, i pidocchi addosso. Era marzo. Lui mi propose di andare con lui, aveva una decina di uomini, per provare il rimpatrio. Invece andammo a finire a Sarajevo, in Bosnia, e combattemmo fino al marzo 1945 in Bosnia.
La guerra
Non ho partecipato a battaglie importanti, sempre trasferimenti e presidio del territorio.
Avevamo contro anche gli ustascia; tra loro e i tedeschi, accidenti al meglio…
Gli uomini slavi erano o prigionieri o tutti a combattere, partigiani o ustascia.
I più agguerriti erano i battaglioni dove combattevano anche le donne. Quando andavano all’assalto urlavano. Le donne mettevano paura anche ai tedeschi; se catturavano un tedesco gli facevano gli sfregi, a casa non tornava. Queste partigiane avevano cartucciere addosso, bombe a mano… Penso che le donne, oltre che per spirito patriottico, si erano arruolate partigiane anche per la paura di cadere in mano ai tedeschi.
Prigionieri non ne faceva nessuno, non avevano da mangiare nemmeno per sé… E poi se il prigioniero tedesco  camminava lo potevano anche portare con sé, ma se era malato… lo lasciavano lì. I feriti e i malati erano un impiccio, sia per i partigiani che per i tedeschi.
In 54 mesi di militare non ho ammazzato consapevolmente nessuno; però, quando si sparava con la mitraglia…
Sopravvivenza durante la guerra partigiana: fame e freddo
Mi sono trovato avvantaggiato, per sopravvivere, dal fatto che venivo dalla campagna: se trovavo una lumaca, una ranocchia, un po’ ortica, le mangiavo. Qualche volta si tirava una bomba a mano nel fiume per ammazzare il pesce e farlo venire a galla. Avevo questo ruolo di cercare da mangiare. La cucina esisteva e non esisteva: le marmitte erano mezzi fusti della benzina; come si faceva a portarli dietro quando ci si spostava?! Così si cuoceva ognuno per conto suo sul suo bombolo. Il commissario andava nei villaggi e requisiva una pecora, della farina e lasciava un biglietto: a fine guerra paga Tito.
Ho fatto sette notti in una pineta, sempre all’aperto. Si mangiava le punte di abete, le si rosicchiava. La neve era alta e ghiacciata, ci passavano sopra anche i cavalli. Ci si riparava dalla terribile tormenta con una semplice tenda; la si montava vicino a grossi alberi. Anche la tormenta ammazzava, cavava il respiro. Una volta mandammo 4 soldati con i cavalli a far macinare del grano; appena partiti iniziò una tormenta e non li vedemmo tornare. Quando li andammo a cercare li trovammo morti per il freddo insieme ai cavalli.
L’inverno del 1943-44 avemmo anche 35 gradi sotto zero, io ebbi i diti congelati. Ci si spostava di continuo, perché gli informatori nemici indicavano le nostre posizioni, e sulla neve si lasciava la traccia.
Alla fine ci dettero 20 mila lire di premio per il chilometraggio che s’aveva fatto.
Di aiuti dagli Alleati avemmo alimenti secchi (specie carote tritate) e armi. Quando cadevano questi recipienti, talvolta si spaccavano e gli alimenti si spargevano. Li raccoglievamo e li portavamo al comando. Chi mangiava quello che raccattava rischiava di morire; infatti l’intestino era ormai disabituato a certi alimenti. Ne sono morti diversi per questo.
Per curare e assistere i feriti c’era poco o niente. Bisognava arrangiarci anche con la pipì.
Rimpatrio e notizia di altri altotiberini
Sono sbarcato il 12 marzo 1945 a Brindisi; poi fui congedato il 15 luglio 1946. Sono rimpatriato con Foni di San Leo contadino, Giorni Leonello della Motina, Lancisi Giuseppe del Borgo contadino, Berghi Duilio artigliere fabbro, Bellanti Pietro contadino, Meozzi Dino di Tavernelli, Chiarini Rinaldo operaio
Guerrieri Giuseppe, contadino, morì forse ucciso dai tedeschi perché malato di tifo petecchiale
Anche Berghi era malato di tifo (colpa dei pidocchi), però faceva il fabbro e andava per le case a ferrare cavalli e muli, in cambio si faceva dare mezzo litro di latte. Così è sopravvissuto Dino Meozzi.

P.S. Tofani è deceduto nel 2016 a 94 anni di età.

 

Testimonianza raccolta da Alvaro Tacchini il 4 settembre 2015.Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.