Nel 1922, nell’allestire la Mostra Retrospettiva del Ferro Battuto, la Scuola Operaia volle dare spazio anche agli artigiani del legno per promuovere la fragile economia locale nel suo complesso. Solo alcuni degli invitati ebbero modo di poter contribuire con propri manufatti, ma don Enrico Giovagnoli espresse ugualmente la soddisfazione degli organizzatori: “Fra i falegnami incisori e intagliatori non mancano opere meravigliose: il tavolo intarsiato dal capo officina della scuola Augusto Pellegrini, elegante e solido nello stesso tempo, la specchiera ad intaglio del Bartolini, che sa trattare il legno con rara maestria, e vicino a queste maggiori le cornici intarsiate del giovane Bruschi, ingegno versatile che sa ancora fabbricare violini di voce dolcissima, e le prime prove dei più giovani maestri di legname”. E inoltre: “Oreste Gambuli ha ideato un elegante servizio in legno lucido per the, l’officina Vigna e Amantini degli splendidi mobili in malacca e giunco, una cassa armonica sobriamente intarsiata per grammofono”.
In quegli anni di riscoperta dell’artigianato artistico, per i falegnami più ambiziosi potevano rappresentare un significativo punto di riferimento le munifiche donazioni di Elia Volpi. Il celebre antiquario di origine tifernate nel 1912 aveva restaurato a proprie spese e donato alla città il palazzo Vitelli alla Cannoniera, perché ospitasse la locale pinacoteca. Lo aveva arredato per intero con una delle sue collezioni di mobili d’epoca: seggioloni con braccioli e da parata, sedie “a fratina”, sgabelli, panche e cassapanche, scrittoi “a lira”, tavoli di varia tipologia, consolles, armadi-librerie, leggii. Insieme a essi, pregevoli opere intagliate e intarsiate provenienti dai conventi cittadini soppressi. All’inizio del Novecento Volpi era stato tra i principali interpreti a livello internazionale di un gusto dell’arredamento, con conseguente mercato antiquario, in cui mobili autentici dei secoli passati convivevano con altri restaurati reimpiegando elementi di diverse epoche e altri ancora fabbricati più recentemente a imitazione di stili antichi. L’arredamento ligneo della pinacoteca di Città di Castello costituiva un museo nel museo, ancor più valorizzato dall’apertura nello stesso palazzo, nel 1927, della sede della biblioteca comunale. I falegnami che allora partecipavano con maggiore attenzione agli eventi culturali cittadini non potevano non subire il fascino del mobilio esposto. Ma certamente ne frustrò le ambizioni – così come avvenne per gli artieri del ferro battuto – la modestia del mercato locale, nell’ambito del quale la clientela benestante e colta, già di per sé di esigua consistenza, vide ridimensionato il proprio potere d’acquisto dai rivolgimenti economico-finanziari del Ventennio. Il gusto del bel mobile d’epoca venne tenuto in vita dai migliori falegnami e soprattutto dalla Scuola Operaia, il cui laboratorio di ebanisteria, diretto da Augusto Pellegrini, nella Mostra dell’Artigianato del 1937 esibiva ancora pregevole mobilio in “stile Rinascimento”.
Proprio in quella circostanza vennero esposti camere e salotti disegnati nel più in voga “stile Novecento” da due giovani intellettuali tifernati, l’architetto Angelo Baldelli e il pittore Aldo Riguccini. Li fabbricarono la Società Lavorazione Legnami e Matteo Biagini, le uniche aziende, insieme alla “Cristini”, che tenevano degli operai e potevano permettersi in qualche modo di proporre alla clientela idee di arredamento nuove e di commerciabilità ancora tutta da verificare. Per gli altri falegnami, salvo sporadiche eccezioni, non sembrava esserci altra prospettiva al di fuori della faticosa e prosaica attività al servizio di committenti pubblici con poche risorse finanziarie a disposizione e clienti privati per lo più poveri e poco esigenti.