A ottant’anni il “maestrino” parcheggiava ancora la sua “Millecento” – così, ironicamente, gli allievi ne definivano la bicicletta – fuori del Seminario e saliva a svelare i segreti del pentagramma e della tastiera ai giovani che vi studiavano. Erano circa sei decenni che si dedicava a loro, e non certo per l’attrattiva del compenso. Con il passar del tempo aveva inevitabilmente diradato le lezioni private, ma al Seminario continuava ad andare con lena e puntualità. Tanto attaccamento non passò inosservato ad allievi ed ex-allievi, che lo additarono come “esempio di onestà e di laboriosità”. Scrissero: “Chi può dimenticare la sua comprensione, il suo stimolante incoraggiamento a ciascuno di noi nelle difficoltà di una tastiera, le sue battute facete, le sue carezze distribuite a suon di bacchetta?… Qui al Regionale, i seminaristi di Castello, in complesso, sono i migliori pianisti, e questo le fa onore. Tanti sacerdoti suoi ex-allievi le possono testimoniare di quanto aiuto sia per loro nell’apostolato il saper mettere le mani su una tastiera. Ha mai pensato, Maestro, che lei ha contribuito e contribuisce a salvare tante anime?”
Sicuramente se ne rendeva conto. Nel dopoguerra, con l’avanzar degli anni, stava riscoprendo la fede cristiana, quella fede che, nel periodo di più intensa attività, aveva vissuto come intima realtà, riservatamente, senza palesi manifestazioni esteriori o esplicite ammissioni. Un musicista come lui poteva meglio comunicare profonde sensazioni interiori con le note dell’organo della cattedrale, spesso travolgenti nell’improvvisazione, o con le tante melodie religiose composte per i suoi cori.
E le delicate dita della sua mano percorrevano ancora l’organo della chiesa di San Francesco quando il “maestrino” compiva novant’anni, nel giugno del 1973. La città gli si strinse attorno, per un concerto d’auguri, in quel teatro che l’aveva visto dirigere cori ed orchestre. Sentì ancora intonare dalla banda musicale il suo “Inno alla Vittoria”, composto dopo la Grande Guerra. Quel brano concluse il concerto.
Arcaleni tornò al suo organo di San Francesco. Poi il fisico gli cominciò a cedere, quasi all’improvviso. Morì l’11 ottobre di quell’anno.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).