Dopo le elezioni amministrative, i cattolici furono assorbiti dai lavori del I Congresso umbro del P.P.I., svoltosi ad Assisi alla presenza del segretario nazionale don Luigi Sturzo. I tifernati ebbero un ruolo di rilievo; sulla spinosa questione agraria, infatti, il congresso approvò all’unanimità l’ordine del giorno della sezione di Città di Castello, illustrato da Giovagnoli. Vi si proponeva un graduale e diversificato passaggio della terra ai contadini, promuovendo affittanze collettive con diritto di riscatto da parte dei coloni capaci di gestire il proprio fondo e, nel caso di terre meno fertili e curate, la costituzione di un ente che le acquistasse e valorizzasse, per poi cederle in lotti alle famiglie agricole. Gabriotti avrebbe successivamente ammesso l’esistenza, già a quell’epoca, di crescenti divergenze d’opinione con Giovagnoli. I contrasti di carattere politico, per quanto apparentemente superati nell’approvazione unanime del documento sulla questione agraria, stavano probabilmente accentuando l’incomprensione tra i due.
Il dibattito interno al P.P.I. si rivelò allora assai intenso. Gabriotti, che definì allora “temperato” il proprio indirizzo politico, ebbe modo di constatare l’emergere di battagliere posizioni estreme. […] Ma nel teso confronto prevalse allora la linea centrista auspicata da Gabriotti, con l’emarginazione dei conservatori, nostalgici dell’alleanza con i liberali, e della sinistra miglioliana, non contraria pregiudizialmente ad un avvicinamento con i socialisti.
Durante il congresso di Assisi Gabriotti fu eletto segretario provinciale del P.P.I. Poche settimane dopo, con un’intervista a “Il Giornale d’Italia”, rese nota la sua linea politica. Pur riaffermando il carattere interclassista del partito, ne ribadì la vocazione progressista, ammettendo che molti suoi sostenitori ancora vedevano con favore una sua collocazione in campo moderato. Esso avrebbe invece dovuto rompere definitivamente con i “vecchi santoni del liberalismo” purificandone le fila dai pavidi e dagli indisciplinati. Bisognava con umiltà trarre preziosi insegnamenti dagli avversari socialisti, i quali, benché pochi di numero, riuscivano a influenzare folle imponenti in virtù di un impegno assiduo e disinteressato al fianco dei lavoratori. In tale chiara scelta di campo e nell’enfasi posta sul significato educativo dell’azione politica rivivevano in Gabriotti le aspirazioni maturate al tempo di Nova Juventus.
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Intanto i “popolari” ebbero modo di ironizzare sulle difficoltà dell’amministrazione comunale socialista, rilevando come, dopo tante chiacchiere e bellicosi propositi, fosse costretta dalle circostanze a “fare del loro meglio per amministrare bene” e a lasciar perdere ogni illusione rivoluzionaria. Tuttavia non soffiarono cinicamente sul fuoco già rovente dell’esasperazione popolare. Anzi, in consiglio comunale Venanzio Gabriotti guidò l’opposizione con serenità, formulando sempre proposte concrete e non esitando, quando necessario, a solidarizzare con la giunta.
Nonostante le continue emergenze e il persistente rifiuto della grande maggioranza dei proprietari di assorbire parte dei disoccupati, l’amministrazione comunale stava avviando l’opera di riassestamento delle finanze municipali e di programmazione di opere pubbliche. Occorreva però tempo per cogliere i frutti del proprio lavoro, quel tempo che tanta povera gente non voleva più attendere. I socialisti dovettero ammettere con amarezza: “Malgrado la nostra trentennale opera di propaganda e di educazione, le masse non sono ancora pervenute a quello stato di coscienza da noi ardentemente desiderato”.
L’estratto è una breve sintesi, senza note, del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).