Nei decenni a cavallo dell’Unità italiana, la Tipografia Donati seppe mantenersi al servizio della comunità, soddisfacendone con perizia le richieste. Nel 1872, dunque, quando l’ingegnere e professore di matematica Scipione Lapi avviò un laboratorio litografico, a Città di Castello non si sentiva la necessità di un’altra e più consistente tipografia.
Si tramanda che, originariamente, l’intraprendente ingegnere non ambisse che a una produzione limitata, in particolare moduli e stampati per la sua professione. Poi, invece, finì con l’innamorarsi dell’attività e accettò altre commissioni, apprezzate dalla clientela per la qualità dell’esecuzione. Di lì a poco affiancò alla stampa litografica quella tipografica e prese a produrre opuscoli, volumetti e il primo periodico tifernate (“Il Tevere”, 1876). A dimostrazione di quanto confidasse di dedicare più energie e risorse al laboratorio, cercò un confronto di carattere tecnico con la rivista specializzata “L’Arte della Stampa”, inviando un campione dei lavori eseguiti. Ne seguì un provvidenziale incoraggiamento per l’eleganza degli stampati e per la perizia della realizzazione.
La professione di ingegnere e l’insegnamento assorbivano ancora molto Lapi, che però riuscì a dedicarsi al laboratorio con passione e crescenti ambizioni. Negli anni Ottanta volle intraprendere l’arduo sentiero dell’editoria. L’amicizia con lo storico e scrittore Raffaele De Cesare, che aveva eletto Città di Castello a residenza estiva, gli spalancò le porte di un ambiente culturale nazionale altrimenti difficilmente raggiungibile. De Cesare gli fece conoscere Luigi Morandi, studioso di fama che lo scelse come suo editore e lo introdusse a Ruggero Bonghi, storico e uomo politico di rilievo.
Tra il 1884 e il 1885 lo Stabilimento Lapi – infatti di vera e propria industria ormai si trattava – dette alle stampe importanti opere di entrambi gli scrittori. Luigi Morandi continuò a rappresentare un essenziale punto di riferimento anche negli anni successivi, permettendo a Lapi un notevole successo di immagine con la stampa di un suo studio sui sonetti romaneschi del Belli e presentando altri autori, come Maria Alinda Bonacci Brunamonti, Alessandro Marasca e Alessandro Ademollo. Verso la fine di quel fecondo decennio, l’editore tifernate poteva consolidare la presenza nel mondo culturale italiano, producendo una serie di opere di Raffaele De Cesare, Ernesto Monaci, Cesare Lombroso e Herbert Spencer e stabilendo i primi contatti con Giosuè Carducci. Inoltre riusciva a garantirsi rilevanti commesse per la stampa di riviste specializzate, specialmente nel campo degli studi giuridici.
Questi primi successi dettero ulteriore impulso alle ambizioni di Lapi, che si dedicò a progetti di vasta portata, altamente raffinati e costosi, come la collana Rara Biblioteca dei Bibliofili e la Collezione di Opuscoli Danteschi inediti o rari. Proprio la sicurezza che il loro editore avrebbe prodotto volumi qualitativamente ineccepibili tenne legati a Lapi intellettuali di rinomanza nazionale. Alberto Giraldi sottolineò come egli più di una volta avesse sacrificato “interamente gli utili ritratti dalle edizioni più fortunate, per procurarsi il godimento, morale ed intellettuale, di mettere fuori, coi suoi tipi migliori, un bel volume che non permetteva guadagno di sorta”. Così, nonostante il tentativo di compensare con i lavori più commerciali gli alti costi delle elevate imprese editoriali, lo Stabilimento Lapi si trovò ad affrontare una seria crisi finanziaria, che indusse i creditori a costituire una commissione amministratrice per controllare direttamente la gestione dell’azienda e recuperare, nel tempo, i propri capitali. Ma gli stessi creditori avrebbero avuto modo di constatare come lo Stabilimento fosse “tra quelli che più onorano l’Italia”, benemerito della cultura nazionale e dell’arte tipografica, “la sola industria esistente nell’Alta Valle del Tevere [umbra], la quale dà da vivere a non meno di 100 famiglie”.