Rignaldello è ormai un tutt’uno con il centro storico di Città di Castello. Nell’Ottocento, invece, non era nemmeno considerato un sobborgo, bensì una delle “ville”, o frazioni, del territorio tifernate. Ma la si denominava “cortina” proprio per la sua vicinanza alla città.
La percezione di questo agglomerato periferico meridionale cambiò già nei primi decenni del Novecento. Emblematica l’affermazione di Anna Gaburri, in giovinezza contadina nel podere dei “Comenda”, proprio all’estremità sud del sobborgo: “Rignaldèlo era de Castèlo, e beh! Rignaldèlo era molto castelèno, perché era pió vicino del Gorgóne, confinèa co la porta, la tocchèa; quest’altri no, manco l Cavajóne la tocchèa”.
A calarci nella realtà di Rignaldello tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’40 del Novecento sono proprio le testimonianze di personaggi che vi vissero o che in qualche modo vi gravitarono.
Lo spiazzo antistante porta Santa Maria ospitava il mercato dei muli e degli equini, particolarmente importante in occasione delle fiere. Anticamente lo si chiamava mercato delle “bestie da cani”. In tali circostanze vi si posizionavano degli ambulanti: “A Rignaldèlo c’era ‘Ringhèli’, vendéa i frutti col carretto. Era vèchio, ci aéa stu soprannome. L giorno stèa sempre lé ala porta col banco e vendéa la frutta: na mela, nn arancio, alóra era cosé”. Anche la moglie di “Ringhèli” si posizionava proprio davanti alla porta, per vendere le caldarroste. Nei pressi, talvolta capitava “Mezalìra” a vendere la porchetta. Poi c’era il “bulettèio” Benni: “Quand’era l sabato se mettéa gió da piedi ala porta che dà a Rignaldèlo, co m banchetto e uno de qui affèri che adóprono i calzolèi. Alóra, quando passèono i contadini, se facéono mètte le bulètte sule scarpe”.
L’attuale largo dei Bersaglieri veniva talora chiamato “piazza dei pubblici divertimenti”. Lì si fermavano i circhi equestri di passaggio per la città. Il piazzale era solitamente il luogo di lavoro del carrettiere Torquato Rossi, soprannominato “Benissimo”. Aveva bottega alla Mattonata, ma doveva spostarsi fuori le mura per effettuare la cerchiatura delle ruote di carri e carrette: “Facevano un gran fuoco, di legna, consistente, per scaldare il ferro. Scavavano una buca per il fuoco. Sudavano tantissimo: con le ganasse dovevano tirare il cerchio rosso, arroventato, per adattarlo alla misura della ruota; poi si freddava e si restringeva. Dovevano essere tre o quattro persone a tirarlo”.
Di fronte all’attuale officina dell’elettrauto Barbetti si situava il travaglio del fabbro ferraio Bista Mastriforti. Domenico Baldi lo conobbe: “I fàbri de campagna ferrèvono i bóvi col travàjo. C’erono a Rignaldèlo, al Cavajóne, anche al merchèto, al Prèto, ale Gratìcole. Facevono tutti i lavori pi contadini… Quello de Rignaldèlo se chiamèa Bista Mastriforti. […] I travàji erono fàti de legno. Ci leghèvono i bóvi, perché se no n se tenìono; pu li alzèvono m po’ co le cinghie sotto la pancia. Cosé stèvano bóni lé, e li ferrèvono”.
Il testo (pubblicato nel numero unico per la Festa del Rione “Mattonata” del 2018) continua nell’allegato.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.