Giuseppe Raffaello Machi, maire e gonfaloniere di Città di Castello, nel ritratto di Giuseppe Crosti.
Calcografia con apoteosi di Bruto su carta intestata della Prima Repubblica Romana.

Restaurazione e impero

Dopo il breve intermezzo rivoluzionario, la vita sembra riprendere uguale a prima. Il 23 giugno 1800 si ricostituiscono gli antichi consigli municipali secondo le solite formalità. Si attua una modesta epurazione: coloro che sono sospetti di giacobinismo o di simpatie per la Repubblica Romana non vengono riammessi nei consigli.
Ma ormai nulla può essere come prima. Innanzitutto il potere centrale trova un suo ottimo esecutore nel delegato apostolico, mons. Agostino Rivarola; inoltre la Sacra Congregazione del Buon Governo, riprendendo alcuni princípi della amministrazione francese, ordina il censimento generale della popolazione: il territorio, compresi i centri limitrofi, ha 30.551 abitanti, la città 4.762, di cui 363 religiosi dei due sessi.
Anche se il regno di Pio VII segna un passo avanti per la Chiesa, l’influenza francese torna a farsi sentire prepotentemente: continui passaggi di truppe e requisizioni testimoniano la costante presenza dei transalpini nelle nostre zone. Il ritorno di un forte governo d’Oltralpe si verifica però il 10 giugno 1809, quando Napoleone, dal campo imperiale di Vienna, dichiara annesso all’impero lo Stato pontificio. Lo stemma dell’imperatore viene innalzato a Città di Castello il 3 luglio.
Sotto il diretto governo francese, ritorna la divisione amministrativa del territorio in dipartimenti, cantoni e comuni che era stata già introdotta durante la prima Repubblica Romana; tornano l’abolizione dei privilegi e la soppressione degli ordini religiosi. Si verifica anche, sia pure in forma più sfumata, una rivolta sanfedista delle campagne, che parte da Grumale. Per il blocco continentale si diffonde nelle nostre zone la coltivazione del tabacco, mentre minore successo, anche se incoraggiate dal governo, trovano le colture del cotone, dello zafferano, della barbabietola da zucchero, e quella tradizionale del guado, vegetale dal quale si ricava una tintura azzurra per panni.
Il governo napoleonico non ottenne i risultati sperati, soprattutto nell’ex-Stato pontificio. La miseria nelle nostre zone non era certo debellata, anzi era stata acuita dalla presenza di molti religiosi privati dei loro conventi e che non trovavano altra possibilità di integrazione sociale. Tuttavia non mancarono buoni e colti amministratori, come il maire Giuseppe Raffaello Machi, e nemmeno progressi notevoli, come l’istituzione dello Stato Civile, i tentativi di rinforzare la rete viaria, le riforme nel campo dell’educazione, le leve di cittadini. Per effetto della riorganizzazione amministrativa, frazioni importanti come San Giustino e Pietralunga si staccarono dal capoluogo.
La durata del dominio francese fu breve: dopo la disfatta di Napoleone in Russia, si ebbe anche in Umbria l’effimero governo di Gioacchino Murat; egli giocava le sue carte appoggiando gli austriaci, ma non rompeva con Napoleone, che anzi sostenne apertamente nei cento giorni.
Il periodo muratiano incise più di quanto può far pensare la sua breve durata. Il 28 gennaio di quell’anno viene istituita la Guardia civica, con a capo Luigi Bufalini, nipote di Giulio. Il 3 aprile 1814 i sudditi di Città di Castello vengono informati del ritorno di Pio VII nel proprio territorio, ed in seguito vengono invitati a festeggiare il ritorno del sovrano: la notizia era stata data da Murat, anche se la decisione era stata presa da Napoleone, ormai in difficoltà, e quindi desideroso di recuperare al suo consenso il mondo cattolico. Ma soprattutto furono importanti gli appelli agli italiani e all’unità d’Italia, che “re Gioacchino” espresse da Modena il 1° febbraio 1814 e da Rimini, col famoso proclama, il 30 marzo 1815.

In quell’anno, mentre il vescovo Mondelli attuava un nuovo passo avanti nel campo dell’educazione, con l’istituzione delle suore di San Francesco di Sales, le sorti dei nostri paesi erano ancora una volta decise dal di fuori, nel Congresso di Vienna, durante il quale venne definitivamente abolito l’antico feudo dei Bourbon del Monte, aggregandolo al Granducato di Toscana.

 

L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Antonella Lignani nel volume Alvaro Tacchini – Antonella Lignani,“Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).