Renitenza e diserzione trovarono suolo fertile nel territorio alla destra del Tevere, tra le valli dei torrenti Cerfone e Nestoro. Su queste alture dell’Appennino umbro-toscano tra l’autunno del 1943 e i primi due mesi del 1944 presero corpo le tre bande partigiane di Monte Santa Maria Tiberina, di Morra e di Badia Petroia. Vi confluirono non solo giovani del posto, ma numerosi altri di Città di Castello. Sin dall’inizio ebbero come riferimento specialmente Venanzio Gabriotti. Nel contempo, gravitando verso la zona montana a ridosso del comune di Arezzo, entrarono presto in contatto con esponenti del CPCA aretino, che considerava di rilevanza strategica le alture tra Palazzo del Pero e Monte Favalto.
Nelle prime settimane dopo l’armistizio i giovani alla macchia pensarono esclusivamente a nascondersi. A ciò si prestava il territorio montuoso e fitto di boschi. Inoltre nei numerosi insediamenti rurali le famiglie rifornivano i propri figli fuggiaschi e i loro compagni di quanto necessario per sopravvivere. Grazie a tanta connivenza, non fu loro difficile sottrarsi alle ricerche condotte da carabinieri e fascisti. Poi, però, la pressione dei bandi del regime impose una scelta radicale: anche se non pochi preferirono rimanere sbandati e nascosti nei pressi dei luoghi di residenza, i più finirono con il formare gruppi intenzionati a resistere, anche armi alla mano. Proprio il dotarsi di armi fu il primo cimento di queste bande.
Una testimonianza importante sul processo di formazione delle bande nella valle del Nestoro tra il dicembre 1943 e il febbraio 1944 è il Diario di un partigiano di Aldo Donnini, esponente di rilievo del CPCA di Arezzo. Giunto nella zona nella seconda metà di dicembre, si adoperò per settimane in un paziente e sfibrante lavoro di propaganda e di organizzazione. Trovò un ambiente politicamente favorevole. Scrisse il 30 dicembre: “La GNR di Città di Castello tenta di catturare due aviatori inglesi che sono con me a Mucignano; riesco a convincere i contadini del luogo per difenderli anche con i fucili da caccia, qualora dovesse avvenire uno scontro. Il paese è politicamente unito e, per la sua posizione, può essere una buona base per il futuro”.
Donnini restò a Mucignano fino al 12 febbraio; poi lasciò il piccolo agglomerato rurale, andando a vivere in un capanno nel bosco, per non mettere a repentaglio la sicurezza della popolazione. Descrisse con parole forti le difficoltà dei giovani alla macchia, dei quali condivideva l’esistenza: “Cerco di alleviare le condizioni disperate in cui si trovano molti soldati sbandati che sono nella zona, presso i contadini, i quali, nonostante la carestia, fanno sforzi veramente grandi per dar loro da mangiare. Ho speso anche forti somme che mi sono giunte da casa, ma ci vorrebbe molto di più per questa gente scalza, ignuda ed affamata” (18 gennaio). E ancora: “Io e Valentini viviamo ai Rancaldoni. Per mangiare siamo costretti a cercare i radicchi per i campi, dato che la famiglia che ci ospita è poverissima. Abbiamo comprato mezzo quintale di grano; ma con la fame che c’è, durerà poco” (8 marzo).
Ciò che turbava maggiormente Donnini era la “mancanza assoluta di armi”, il ritardato invio da Arezzo di quelle promesse, il timore che il CPCA non si rendesse pienamente conto “della situazione morale e materiale di chi è in montagna ad attendere” (19 gennaio), l’inazione forzata cui era costretto: “Se avessi almeno una rivoltella, mi metterei in campagna anche da solo” (5 febbraio); “se Curina mi mandasse le armi, potrei anche disporre di qualche anziano, ed allora passerei senz’altro all’azione” (14 febbraio).
Tuttavia quel periodo trascorso sulle alture della valle del Nestoro si rivelò proficuo. Donnini ebbe i primi contatti a Morra con Angelo Ferri, constatando che intorno a lui si stava già aggregando un nucleo di una decina di “giovanissimi”; ebbe la conferma che anche a Monte Santa Maria Tiberina vi era una banda guidata da Guerriero Baffo; gettò le basi – insieme ad Antonio Curina – per impiantare nella vicina Marzana “un campo-ospedaletto” per i prigionieri tedeschi e fascisti che sarebbero stati catturati nelle future azioni, individuandone come direttore il dottor Herbert Gottschalk; ispezionò tutta la dorsale appenninica da Anghiari a Cortona in previsione delle azioni da effettuare a primavera; inoltre poté verificare lo stretto legame tra popolazione e giovani alla macchia: “Le famiglie di questi ragazzi sono tutte del posto, e li riforniscono di viveri; così c’è anche il vantaggio di non dover ricorrere a requisizioni”. Altri episodi riferiti da Donnini rivelano come anche in un territorio rurale così appartato si intrecciassero le trame più nascoste della guerra: la necessità di eliminare una spia tedesca che si fingeva disertore; l’incontro a Monte Santa Maria Tiberina con due paracadutisti britannici, ai quali consegnò una pianta dettagliata della zona e indicazioni sui depositi di carburante tedeschi.
Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.