Della precocità artistica di Roberto è testimonianza un episodio che, per quanto leggendario, viene tramandato come la prima manifestazione del suo destino musicale. Un giorno, un amico volle condurre Arcasino in Duomo per fargli esprimere un giudizio sulle capacità di un giovanissimo organista che si stava addestrando. Seduto sulle panche della cattedrale, Arcaleni rimase affascinato dalla maestria del fanciullo. Solo allora gli rivelarono che si trattava di suo figlio.
Roberto cominciò da adolescente ad accompagnare con l’organo i servizi liturgici nelle chiese tifernati. All’inizio del secolo già si occupavano di lui le cronache locali. Nel 1902, “Unione Popolare” lodò il “provetto” pianista, che si stava cimentando anche come compositore; nella chiesa di San Domenico eseguì un'”Ave Maria” e un “Tantum Ergo”, apprezzati dagli esperti di musica per la loro “chiara ispirazione melodica e grande spontaneità”. Il periodico si compiacque con il maestro Balbi: “…con tanto amore e zelo istruisce nell’arte di Euterpe il giovane Arcaleni, che avrebbe bisogno di essere incoraggiato finanziariamente per proseguire gli studi così bene iniziati”.
L’articolo rivela le difficoltà economiche di Roberto e l’impossibilità da parte della famiglia di avviarlo agli studi superiori di musica. Non vi fu per lui altra possibilità, quindi, che proseguire gli studi da autodidatta. E proprio per questo, mancandogli non certo talento ma un vero e proprio diploma e, nel contempo, per distinguerlo da Serafino Balbi, il “maestro” per antonomasia, lo avrebbero cominciato a chiamare “il maestrino”.
“Unione Popolare” tornò a parlare di lui nel 1903, per un’accademia vocale e strumentale promossa dal Circolo Tifernate. Il settimanale si congratulò con Roberto e sottolineò “le attitudini musicali spiccatissime ed ereditarie” della famiglia Arcaleni.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).