Il torrione di porta Santa Maria è sopravvissuto in modo quasi miracoloso fino ai giorni nostri. Una prima demolizione ne fu decretata nel 1872; avrebbe dovuto essere sostituito da una barriera con cancellata in ferro. Il consiglio comunale aveva adottato il provvedimento a grandissima maggioranza ed alcuni abitanti del corso si erano detti disposti a contribuire finanziariamente, coprendo circa un terzo delle spese. Ma non se ne fece nulla.
La cosa, però, stava evidentemente molto a cuore agli abitanti della parte bassa del corso, i quali, verso la fine del 1875, inviarono una petizione al sindaco, chiedendo l’attuazione della delibera di demolizione di “quell’ammasso di materiale detto il torrione”. Presero spunto dai lavori di lastricatura, allora in via di realizzazione, per sottolineare i rischi che l’alta struttura medioevale avrebbe potuto arrecare alla nuova pavimentazione: “La porta di Santa Maria, per essere tanto elevata, impedisce che i venti asciughino il lastricato per una lunghezza di circa 60 metri con uguale sollecitudine che nel rimanente, arrecando grave incomodo ai passeggeri e togliendo altresì la bella visuale del sobborgo di Rignaldello, che forma quasi un rettifilo con il corso. […] La nostra città potrebbe prendere in quella parte un aspetto elegante, mentre ora quell’antico ed informe baluardo non presenta che la facciata di una tomba in cui dormono almeno gli abitanti del corso”. Uno dei sostenitori della demolizione esprimeva in questo modo le sue ragioni sulle colonne de “Il Tevere”.
Gli rispondeva subito una voce contraria e si infiammava così il primo dibattito pubblico attraverso i giornali su questioni di carattere urbanistico. L’oppositore non andò tanto per il sottile: dette al “demolitore” del monomaniaco (“fisso lo sguardo al bastione di porta Santa Maria, sembra che lo veda nel sonno, al destarsi, all’ora del passeggio, del lavoro, del pranzo e del ritorno alla quiete del letto. Per carità, si divaghi, si curi…”) e sostenne che tale era la penuria di denaro nelle casse pubbliche che in ben altri e più urgenti progetti avrebbe dovuto essere impiegato: “[…] ci fa difetto il selciato alle strade, luoghi dove disperdere le acque fecciose e dove depositare il soverchio del nutrimento: e di notte, se la luna ci fa cilecca, anche la illuminazione […]”.
Non una parola per controbattere le questioni di pubblico decoro avanzate dai sostenitori della demolizione, né per reclamare la sopravvivenza di un importante retaggio di storia cittadina. Ma il tasto toccato era quello vincente: il 30 aprile 1876, il consiglio comunale revocava ogni deliberazione in merito all’abbattimento del torrione, considerandola opera di lusso e non prioritaria. Per il resto del secolo la questione non sarebbe stata posta.