Pannacci Pasquale. La banda di Montebello e Venanzio Gabriotti

Il tifernate Pasquale Pannacci (1922-2011), figlio del sellaio Emilio, è stato uno dei primi partigiani di Città di Castello nel Pietralunghese. In queste sue testimonianze, rievocò i suoi contatti con Venanzio Gabriotti nella Resistenza. Pannacci fu anchevolontario nel Gruppo di Combattimento “Cremona”.

 

Primi contatti con Venanzio Gabriotti in Vescovado
Ebbi modo di conoscere Venanzio Gabriotti in vescovado, infatti ero ospite del Pensionato “Sacro Cuore” e il suo direttore, Gustinelli, dirigeva anche l’ufficio di amministrazione della curia, dove lavorava Gabriotti. Talvolta andavo nell’ufficio per mettere ordine nelle carte o a scrivere a macchina qualcosa. Ero giovane e Gabriotti era molto riservato. Non mi è mai capitato di orecchiare che cosa dicesse.
Sostegno di Gabriotti al perseguitato Valentini
Ricordo che a Castello giunse un perseguitato, un certo Valentini (poi sindaco di Spoleto). Gabriotti gli pagava da mangiare all’osteria Bioli in via del Popolo e da dormire in via dei Casceri, dalla “Beccamorta”. Lo manteneva lui. Poi questo Valentini finiva con il dividere il pasto con il sarto Bastianoni, anch’egli “in buletta”: un giorno uno mangiava il primo e l’altro il secondo, l’altro giorno invertivano. I fascisti tenevano sottocontrollo Valentini. Un giorno Gabriotti mandò a dire che lo si doveva portare su in montagna, perché era ormai pericoloso tenerlo in città. Lo venni a prendere io perché dovevo venire giù a prelevare dei moschetti sottratti alla Guardia Nazionale Repubblicana (la “Bilinciana”). Lo aspettai dietro al cimitero verso mezzanotte. Faticò a venire su, dovemmo fermarci all’Antirata a dormire, non ce la faceva. Era poco prima del rastrellamento.
Ruolo di Venanzio Gabriotti a sostegno dei giovani renitenti e della Resistenza
Inizialmente Gabriotti era all’oscuro del fatto che alcuni giovani erano intenzionati a fuggire alla macchia per non entrare a far parte dell’esercito fascista. Partimmo infatti all’avventura io, Livio Dalla Ragione, Mimmo e Gastone Gambuli. Poi Gabriotti venne a conoscenza del fatto anche attraverso il clero, perché noi eravamo aiutati da diversi preti tra cui don Marino Ceccarelli di Morena, mons. Mandrelli, don Giuseppe Bologni parroco di Castelguelfo… Antifascista com’era Gabriotti, sapendo che si stava costituendo un movimento partigiano, cominciò ad introdursi. Quando infatti Armando Rocchi (il Prefetto) lanciò l’ultimatum per la presentazione alle armi dei giovani, Gabriotti mandò alla macchia diversi di essi, tra cui alcuni capi di famiglia. Diceva loro di star tranquilli perché avrebbe lui stesso provveduto a far pervenire alle loro famiglie dei contributi, degli aiuti finanziari.
Primo viaggio di Gabriotti a Montebello
La prima volta che Gabriotti venne in montagna fu allorquando noi riuscimmo a stabilire dei contatti con gli Alleati tramite una stazione radio di Firenze, che allora era comandata dal tenente dei carabinieri Bufalini Maurizio. Quella prima volta fui io ad accompagnare Gabriotti a Montebello dove eravamo accampati. Ero io infatti che in un primo tempo mantenevo i collegamenti, dal momento che avevo dei parenti a Pietralunga e conoscevo la zona. Avevo 22 anni. Durante quel viaggio parlammo dei problemi dei giovani alla macchia e della necessità di rifornimenti e di collegamenti. Gli raccontai quanto triste era stato quel primo nostro inverno in montagna per i disagi e il freddo notturno (era infatti da ottobre che noi avevamo lasciato la città). Lui mi tranquillizzò con il suo abituale entusiasmo, si congratulò con noi per la scelta coraggiosa e giusta che avevamo fatto, disse inoltre che aspettava da tempo il momento opportuno per iniziare la lotta contro il fascismo. […] Insomma era su di morale, ma parlava solo di cose serie, delle ragioni della lotta, per il resto era riservato. Partimmo la mattina e arrivammo verso mezzogiorno e mezzo o l’una. Ci fermammo per un breve riposo ai Petricci e ai Cinque Faggi, ma era un tipo sportivo, camminava di buona lena senza provare tanta fatica. Portò su con sé delle carte dell’ufficio. Poteva così giustificare queste sue gite in montagna.
Visita di Gabriotti ai partigiani della “San Faustino” in occasione dei rifornimenti alleati
La seconda volta che Gabriotti venne in montagna fu in occasione dell’arrivo dei rifornimenti degli alleati. Gabriotti era latore dei messaggi in codice che avrebbero dovuto precedere il paracadutamento dei rifornimenti. Era eccitato, entusiasta. Il primo messaggio (li ricevemmo tramite la stazione radio di Firenze di cui abbiamo parlato prima) ci comunicò che avremmo dovuto preparare nella notte del 30 aprile un fuoco a forma di croce di sessanta metri per trenta, per contrassegnare la zona di lancio. Il massaggio era “Mercoledì è bello”. “Mamma non piangere” significava che il lancio sarebbe stato imminente, una questione di ore. Quella notte Gabriotti era a dormire con noi a Montebello. Rimase a dormire con noi a Montebello. Condividevamo lo stanzone di sopra, sotto c’era il cucinone. Era di buon umore. Fu allora che prese le calze degli inglesi, che poi gli sarebbero state fatali. Insieme ad altri Gabriotti si recò a Morena a recuperare tutto il materiale paracadutato. Caricati d’entusiasmo per i preziosi rifornimenti finalmente lanciati, festeggiammo un primo maggio d’eccezione. Non ci sentivamo più soli, il collegamento con gli alleati era stato finalmente compiuto. La nostra lotta poteva così prendere maggiore consistenza. Gabriotti era uno dei più entusiasti, non vide l’ora di poter comunicare agli amici di Città di Castello che il collegamento era stato finalmente realizzato. Forse quell’entusiasmo così temerario gli fu fatale perché al suo ritorno Gabriotti non prese tutte le necessarie precauzioni.
Notizia della morte di Gabriotti
Venimmo a sapere molto presto della fucilazione di Gabriotti, che veniva a cadere poco dopo l’altra grave perdita che avevamo subito con la morte di Bologni. Ci vennero a mancare in pochi giorni i due compagni che avevano mantenuto i collegamenti con la città, e che ricoprivano quindi un ruolo essenziale. La notizia della morte di Gabriotti colpì soprattutto quei giovani le cui famiglie ricevevano costanti aiuti da lui. Diversi di essi infatti fecero ritorno a casa demoralizzati, perché temevano che le proprie famiglie non avessero più fonti di sostentamento.

 

Testimonianze raccolte da Alvaro Tacchini. Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.