Il chinino di Stato, usato contro la febbre.
Autoritratto del pittore Edvard Munch dopo la "spagnola", alla quale sopravvisse.
Pubblicità di rimedi empirici contro la broncopolmonite.

Ottobre 1918: si tenta di minimizzare

In Italia, la scarsezza di notizie sull’epidemia è dovuta anche alla rigida censura imposta dal governo, preoccupato per le ripercussioni sul morale delle truppe, provate da quattro anni di guerra e impegnate nello sforzo decisivo per sconfiggere le forze armate austro-ungariche. Inoltre impensieriva anche il cosiddetto “fronte interno”, cioè la volontà e la capacità del popolo italiano, già stremato da innumerevoli sacrifici, di affrontare quest’ultimo devastante cimento. Anche negli altri Paesi europei le autorità cercarono di controllare le notizie per non creare panico tra la popolazione.
Il primo ministro Vittorio Emanuele Orlando, forte del pronunciamento del Consiglio superiore di sanità del 17 ottobre 1918, prese una dura posizione contro le voci incontrollate messe in circolazione “intorno ad una malattia terribile, misteriosa, ignota nella sua causa, invincibile nei suoi effetti”. Affermò invece che si trattava di una influenza, “identica” a quella, peraltro “felicemente superata”, degli anni 1889 e 1890. Sostenere tesi discordi – sostenne Orlando – significava “impressionare sinistramente le popolazioni” e scuoterne la resistenza morale e fisica.
I prefetti si mossero conseguentemente. Quello di Arezzo, dette disposizioni ai sindaci per contrastare le dicerie “allarmanti ed esagerate”, intervenendo in modo da “calmare le popolazioni e diffondere le notizie delle provvidenze governative […] smentendo le voci che attribuiscono la malattia a forme epidemiche gravissime, come peste, colera, tifo, e raccomandando l’ordinaria e comune profilassi igienica, la quale è sufficiente a fronteggiare il male”. Il prefetto sottolineò le ragioni militari che imponevano di tranquillizzare la popolazione, specie di campagna: “è indispensabile la serenità dei combattenti, ai quali le notizie allarmanti dei parenti riuscirebbero gravemente dannose per intuitiva ripercussione morale”.
Il prefetto di Perugia emanò nell’ottobre del 1918 due circolari che ribadivano l’indole benigna della malattia (“salvo casi rarissimi ed abnormi”) e si soffermavano sui provvedimenti profilattici da adottare. Mancava una terapia contro la “spagnola” e i medici si sentirono impotenti. Suggerirono la somministrazione del chinino di Stato; una compressa al giorno contribuiva ad abbassare la febbre e, per le sue proprietà cardiotoniche, poteva accrescere la resistenza dell’organismo. Per il resto, non potevano far altro che suggerire il rispetto delle norme igieniche, una buona alimentazione, riposo e qualche rimedio molto empirico.
Siccome l’influenza si diffondeva attraverso le vie respiratorie, la prefettura invitò a esercitare una rigorosa vigilanza sull’igiene dei centri abitati, allontanandone maiali e pecore, rimuovendo le concimaie, facendo pulire stalle e latrine, spazzando le strade. Quanto ai ritrovi pubblici, bisognava non solo assicurare pulizia e adeguata aerazione, ma evitare ogni affollamento. Pertanto il prefetto dette indicazioni per limitare le funzioni religiose “possibilmente alle sole messe basse ed alla spiegazione del vangelo”.