Le retribuzioni dei tipografi, generalmente superiori a quelle delle altre categorie di operai, si mantennero in assoluto abbastanza modeste; continuarono però a garantire un reddito relativamente sicuro a un segmento significativo della popolazione urbana. I tipografi si sentivano gratificati anche dall’opinione corrente, che li considerava un gradino più in alto degli altri lavoratori dipendenti. Un particolare rilievo assumeva l’impiego di tanta manodopera femminile negli stabilimenti: da un lato contribuì ad assicurare a numerose famiglie un ulteriore cespite di guadagno; dall’altro, in una realtà di tradizionale emarginazione, favorì l’assunzione da parte delle donne di un ruolo più incisivo nella vita sociale.
A partire dagli anni Venti, i tipografi, per la compattezza professionale, il livello di istruzione e le esperienza maturate, recitarono un ruolo di primo piano nelle attività cittadine. Il loro Dopolavoro Interaziendale, il contributo alla vita della Filodrammatica, dei gruppi musicali e di ogni altra associazione di carattere sportivo e ricreativo, animarono un ambiente che, nonostante i condizionamenti frapposti dal regime fascista, seppe spesso esprimersi con ricchezza di iniziative.
I tipografi, consapevoli del rilievo assunto nella società tifernate sia per numero che per qualità del lavoro, auspicavano “una considerazione un pochino più benevola” – scrissero ne “La Bozza” del 1928 – di quella di cui godevano “i vari artigiani della pialla o della lesina”. Si trattava di operai “che da mane a sera combattono con i libri e le pagine, con gl’inchiostri e i caratteri, che stampano migliaia e migliaia di libri all’anno, che divulgano pel mondo due o tre dozzine di riviste, che si attirano addosso tutte le ire di Dio dei vari impiegati postali […] quando cascano loro addosso le valanghe dei nostri libri e i pacchi delle nostre stampe. Un bel numero, dunque, di giovani e non giovani, di uomini e di donne che a mezzogiorno sciamano cinquettando dai vari stabilimenti per tornarvi due ore dopo a passo svelto, perché il campanello ha suonato e il medagliere si chiude inesorabile”.
Il fascismo – e si era all’inizio della seconda guerra mondiale – poté menar vanto di aver dato uno sbocco concreto ad un’aspirazione vanamente cullata sin dall’epoca di Lapi. Il problema dell’avviamento al lavoro dei tipografi si era trascinato per decenni senza altra soluzione che non il lungo e oneroso apprendistato dei giovani in azienda, a fianco degli operai più esperti. Con il 1940-1941 prese l’avvio la Scuola di Avviamento (poi anche Tecnica) per le Arti Grafiche. Finalmente nasceva un istituto in grado di introdurre nel mondo del lavoro maestranze qualificate. In tale circostanza si realizzò – superando ogni divergenza sociale e politica – quell’unità di tutte le migliori energie della città che, in momenti cruciali della storia, ha permesso ai tifernati di liberarsi dai lacci che impedivano il progresso.