La Galleria Heinem impiantata nello stabilimento della Fattoria (1968).
Silos per la fermentazione di tabacco subtropicale (1963).
Meccanizzazione del lavoro di cernita (maggio 1967).
Modernizzazione e innovazioni tecnologiche
Dopo la crisi dovuta alla peronospora tabacina, si poté ripristinare un clima che permise alla Fattoria di far debitamente valere le sue solide visioni strategiche. Parve ormai ineludibile una accelerazione nel processo di meccanizzazione in agricoltura e di automazione del lavoro nello stabilimento. La meccanizzazione delle operazioni agricole permetteva di far fronte sia alla mancanza di mano d’opera nelle campagne provocata dal grandioso fenomeno dell’inurbamento della popolazione rurale, sia al costo crescente dell’impiego di braccianti. In quegli anni sedette nel consiglio di amministrazione Silvio Nardi, che contribuì a incentivare la meccanizzazione con prodotti delle sue aziende. Nel 1970 il parco macchine a disposizione dei soci della Fattoria sarebbe stato definito “imponente”. Intanto era già stato sperimentato con soddisfazione nel 1963 il primo impianto di “bulk-curing”, di fabbricazione americana, che consentiva la cura del Bright a masse, senza necessità di infilzatura. Due anni dopo erano stati adottati con successo essiccatoi per cura di massa prodotti dalla “Godioli & Bellanti”.
L’automazione del lavoro nello stabilimento prese il via con l’acquisizione di una Galleria Heinem, che effettuava diverse operazioni in precedenza eseguite manualmente. Nel 1967 entrò in funzione un nuovo impianto di cernita meccanizzata e si acquistarono tappeti trasportatori. A partire dal 1970 sarebbe stata meccanizzata anche la contabilità.
Il processo di automazione comportava la riduzione delle maestranze del magazzino, con evidenti ripercussioni sociali. Nel chiedere di meccanizzare al massimo la produzione, nel 1964, Donadoni espose con schiettezza la situazione: “Gli inevitabili aumenti delle paghe operaie e degli aggravi previdenziali ed assistenziali eleveranno i costi delle lavorazioni tradizionali in misura così alta da compromettere i risultati economici della gestione; la meccanizzazione accentuata delle lavorazioni implica la riduzione del numero degli addetti; qualche compenso potrà esserci dalle incrementate produzioni dei tropicali, ma 200-300 posti di lavoro verranno a mancare”. In quell’anno furono riassunti 710 addetti sui 960 del 1963. Da allora si cominciarono a impiegare delle tabacchine anche nel lavoro agricolo. Vi fu pure il tentativo di occupare parte del personale in esubero presso aziende che stavano avviando l’attività nel Tifernate, ma con modesti risultati. Per quanto possibile, la Fattoria tentò di gestire il delicato problema evitando licenziamenti. Nel 1970 le maestranze erano ridotte a 350 unità, con una diminuzione, nel decennio, del 70% di quelle operaie e del 40% delle impiegatizie.