Marco Marconi: da Sansecondo al Ronnie Scott’s.

“Mi raccomando, Alvaro, non mi fare passare come uno dei tanti ‘cervelli’ in fuga dall’Italia. Non mi sento tale. Sono solo uno che si è stufato di una situazione di precarietà e di mancanza di prospettive e che ha avvertito l’esigenza di cambiare aria, con tutti i pro e contro del caso. Non rimpiango assolutamente la scelta fatta, anzi, ne sono felicissimo. Qui a Londra sto bene e mi sento realizzato. Non vivrò come un frustrato. Qui realizzerò quello che mi sono prefisso, me lo sento!”

A parlare così è Marco Marconi, 37 anni, musicista tifernate – frazione di Sansecondo – ormai trapiantato a Londra. È, questa, un’intervista particolare, senza ausilio di registratore, o di penna e blocco per appunti. Io a Castello, lui in terra d’Albione, ci siamo scambiati domande, risposte e considerazioni via facebook e posta elettronica. Il bello dei nuovi mezzi di comunicazione…
Marco è stato mio studente al professionale per l’Industria e l’Artigianato, scuola frequentata da tanti giovani di famiglia operaia, come la sua. Ma intanto già coltivava con tenacia e ottimi risultati l’amore per la musica. Una passione che si tramanda di generazione in generazione nei Marconi di Sansecondo. Dal bisnonno Serafino, al nonno Checco, fino a Marco e al fratello Francesco, brillante trombettista e attuale direttore della Filarmonica Puccini.
“Mio nonno ha fatto di tutto per insegnarmi la musica. Ricordo ancora – avevo sei anni – quel giorno d’inverno in cui eravamo nella cucina a pian terreno, vicino al grande camino, e nonno Checco mi stava facendo la giornaliera lezione di clarinetto, lo strumento che ho studiato fino a 18 anni. Mio fratello, di due anni più piccolo, dall’altra parte della tavola mi dirigeva con due spaghetti, ad emulare le gesta del direttore d’orchestra. È un gran bel ricordo, che porterò con me per il resto della mia vita”.
I primi passi, dunque, a fianco del nonno, bravo suonatore di fisarmonica e di tuba in Sib. Poi la crescita sotto la guida del Maestro Fausto Polverini (“un enorme riferimento per tutti quelli della mia generazione, un uomo buonissimo, un simpaticone, ma allo stesso tempo quadrato e con una grande preparazione alle spalle”). Fu Polverini a intuire le potenzialità di Marco con il pianoforte (“mi vedeva sempre mettere le mani in quello della scuola di Trestina, dove facevamo lezione”) e a parlarne con il padre. Un padre preoccupato: il pianoforte costava, e lui era operaio…
Dopo Polverini, ad accompagnare Marco fino al diploma finale di Conservatorio sarebbe stato il maestro Mauro Nadir Matteucci (“uno tosto, pretendeva molto, mi fece correggere difetti che avevo acquisito nel tempo”).
Finalmente il diploma di Conservatorio, a 21 anni come privatista, con il massimo dei voti e la lode.
Fino ad allora tanta musica classica, ma stava maturando qualcosa di importante: “Mio cugino Paolo, bravissimo clarinettista, anch’egli illuminato da nonno Checco, possedeva uno stereo. Quando andavo a casa sua, il suo studio era come un ambiente magico. Ascoltavo con lui un genere di musica ad alto volume che mi piaceva e parecchio. Mi chiedeva: ‘Lo conosci questo? È Gerry Mulligan’. Ed io: ‘Boh!, e chi è?’ Mi disse che era una star del jazz. Beh, è stato quel Mulligan a far scoccare in me la scintilla del jazz. In seguito infatti ho trascritto molte sue improvvisazioni!”
Con il jazz ormai nel sangue, Marco compie studi specifici con il pianista assisano Ramberto Ciammarughi, acquisisce il diploma al Conservatorio di Perugia anche in questa disciplina e si perfeziona con la laurea in Discipline Musicali ad Indirizzo Jazzistico.
Lì per lì sembra che tanta passione e tanti studi possano dare gratificazioni artistiche ed economiche: un po’ di insegnamento, una discreta attività nel campo della classica e del jazz, il frequente invito di altre band a suonare con loro come pianista. Poi, invece, la crisi economica e finanziaria s’è abbattuta anche sul mondo della musica:
“Piano piano, ma inesorabilmente, ho sentito sgretolarsi il terreno sotto i piedi. Gli allievi nelle scuole diminuivano fortemente, le possibilità di lavoro in festival o nei vari locali che programmavano gruppi musicali con regolare cadenza scemavano”. Insomma, la chiara percezione di mancanza di futuro in un Paese paralizzato da una crisi epocale.
Fu così che all’inizio del 2012, insieme alla moglie inglese Sally Ann, Marco decide di tentare la fortuna a Londra. Una scelta coraggiosa – la coppia ha una figlia di cinque anni –, piena di incognite, ma ricca di stimoli per chi, come lui, ama le sfide.
Ecco cosa pensa Marco di Londra: “Ti offre tutto quello che esiste; anche quello che non pensi esista, a Londra lo trovi. Certo, è una medaglia a due facce. Da una parte ti offre una grande possibilità in campo lavorativo. Qui la crisi esiste a malapena, ancora le fabbriche o il terziario cercano giornalmente operai; se ti adatti a fare qualsiasi lavoro, domani hai un impiego. È anche vero, però, che Londra ti presenta il conto, ovvero è carissima, non puoi abitare lì”.
I Marconi trovano dunque casa a una trentina di miglia da Londra, a Hitchin, in Hertfordshire, una cittadina dai prezzi più accessibili. E inizia l’avventura.
Le prospettive dunque ci sono, ma bisogna darsi da fare, essere intraprendenti, cogliere l’attimo: “Sono dovuto entrare in un’ottica lavorativa più veloce. Qui ogni giorno ti viene offerto un nuovo lavoro online, ma se non sei veloce te lo soffiano. Non dimentichiamo che, con tutti i suoi sobborghi e le città limitrofe, Londra conta 16 milioni di abitanti. Ho dovuto fare un grande e serio lavoro di marketing, in una lingua che non è la mia. Ma dopo le prime difficoltà, ora riesco a muovermi con soddisfazione. Comincio a lavorare con continuità nell’ambiente del jazz e mi sto guadagnando una discreta reputazione sulla scena londinese”.
Marco suona in locali come il Ronnie Scott’s (il top per il jazz a Londra), il Pizza Express Jazz Club, il Vortex, il Jazz On The Hill, l’Oliver’s Jazz, il Mill Hill Jazz Club. Ha un repertorio di brani standard jazz e di sue composizioni originali.
Intanto forma un suo gruppo: il Marco Marconi Trio: “Sono stato fortunato a trovare due altri musicisti italiani che vivono qui dagli anni ’90 e che conoscono già tutto e tutti dell’ambiente. Abbiamo grandi ambizioni in campo artistico. Sto programmando un tour che avrà luogo il prossimo Ottobre nella maggior parte delle contee dalla Scozia alla Cornovaglia”.
Ormai la carriera di Marco è proiettata in Inghilterra. Ci si trova bene e ne apprezza la serietà organizzativa: “Tutti i locali londinesi più importanti programmano l’attività con almeno sei mesi di anticipo, talvolta anno per anno; ciò offre importanti garanzie ai musicisti, che vedono riempirsi la loro agenda con largo anticipo”.
La sua è una vita di duro lavoro. “Quando la musica è la tua fonte di guadagno, tutto ciò che ruota intorno ad essa non è per niente rilassante: dal marketing, al contatto diretto con coloro che dovranno pagarti, al difficile rapporto con i musicisti per le loro diverse esigenze. Quando però mi siedo al pianoforte, è quello il momento più gratificante, anche se comporta ore ed ore di studio per perfezionarti ed essere sempre li pronto, baionetta fra i denti. Infatti la critica non aspetta altro che tu faccia una performance un po’ sotto tono per annientarti! Ma io amo il mio lavoro e chi l’ha dura la vince!”
Nostalgia di casa? “ Si è naturale, l’Italia mi manca” – risponde Marco – “Mi mancano i miei, mio fratello, i miei cani, gli amici e i colleghi che ho lasciato, fra i quali Giovanni Sannipoli grande amico e polistrumentista eugubino. Sento poi la mancanza di Fulvio Falleri, un amico speciale e grande sassofonista, con il quale ho condiviso esperienze importanti. Spero davvero di potermi esibire con lui qui a Londra”.
Le nuove tecnologie aiutano a mantenere i contatti: “Per fortuna ci sono skype e la webcam. Anche se non è la stessa cosa, possiamo vederci e sentirci quando vogliamo”. Inoltre Marco ha un suo blog, che alimenta settimanalmente, parlando della sua vita, del nuovo ambiente, delle sue scoperte.
Per quanto stia diventando anche lui, ormai, cittadino del mondo, Marco si sente tifernate nel profondo. Quando gli chiedo cosa porta dentro di lui della sua terra d’origine, risponde: “Cerco di portare alta la bandiera della solarità e dell’ottimismo, caratteristiche che sento mie e della nostra valle. Qui a Londra ho notato che individuano subito in me l’italianità proprio perché mi piace essere alla mano e legare con tutti coloro che mostrano verso di me interesse e voglia di instaurare amicizia”.
 
L’intervista è stata pubblicata nel numero di febbraio 2013 de “L’altrapagina”.

 

Post scriptum di Marco, 11 dicembre 2013
“Nel giugno scorso mi è capitato qualcosa di veramente speciale: ho firmato un contratto di cinque anni con la Candid Records, leggendaria nel jazz. Produrrà il mio ultimo cd da solista al piano, ‘Mosaico’, che ho registrato a Venezia nel 2010, nella prestigiosa sala concerti Fazioli.
Il mese scorso ci sono tornato con il mio Trio per registrare il nostro ultimo album, che uscirà nel 2014.
A ottobre ho fatto con il Trio il nostro primo tour nel Regno Unito ed è andata benissimo, per l’entusiastico apprezzamento sia della critica, sia del pubblico.
Insomma, le cose mi vanno proprio bene…”