Marchetti Montemaggi Malwida. Assistenza sociale tra regime e guerra

Malwida (1907-2000) era figlia di Maria Marchetti, fidata collaboratrice di Alice Hallgarten Franchetti e direttrice delle Scuole della Montesca e Rovigliano, condotte secondo il Metodo Montessori. 

 

Ispettrice delle infermiere volontarie
Sono stata ispettrice delle infermiere volontarie dal 1936 al 1949. Organizzavo corsi per infermiere volontarie. Nel 1932, per poter partecipare al corso infermiere, dovetti prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista. Mia madre  – Maria Marchetti – che non voleva saperne della tessera, ebbe quella ad honorem da parte della Dernini; siccome dirigeva le scuole della Montesca e di Rovigliano lo consideravano molto. Finì che la fecero segretaria del Fascio Femminile per qualche mese, ma appena poté cedette l’incarico alla Francioni.
Ufficio Prigionieri durante la guerra
Nel periodo bellico ho anche avuto l’incarico dell’Ufficio Prigionieri. Aveva sede presso la CRI. Smistavo la posta per le diverse destinazioni, inoltrandola al comitato internazionale CRI di Ginevra. Tramite la CRI effettuavamo anche la ricerca dei dispersi. Ne fui direttamente coinvolta, perché anche mio marito fu preso prigioniero ed ebbi sue notizie dopo due mesi di totale silenzio.
Fascio Femminile ed Ente Opere Assistenziale
Il Fascio Femminile si occupava dell’assistenza sociale ed educativa. In genere le maestre comandavano i reparti dell’Opera Nazionale Balilla (ONB) e poi della GIL. Le altre donne si rendevano disponibili per le diverse attività coordinate dall’Ente Opere Assistenziali, diretto da Fausto Desideri. Lui gestiva l’aspetto politico ed economico, le fasciste portavano avanti i progetti. Quanto a Desideri ebbe fama di persona per nulla settaria, molto generosa e disponibile con tutti, capace ed alla mano; con lui la politica assistenziale non fu clientelare. Bisogna però considerare che tutti erano iscritti al PNF e questo faceva mancare i  supposti per gli aspetti più deleteri del clientelarismo.
Nel Fascio Femminile non si distinse alcuna dirigente per un’interpretazione particolare del suo ruolo; prevaleva la routine dell’assistenza da dover portare avanti, forse solo l’Assunta Tellarini si riconosceva per le particolari convinzioni fasciste; delle altre non si sa quanto profonda fosse la fede fascista.
Befana Fascista
Le famiglie indigenti facevano richiesta al Fascio Femminile. Le Vigilatrici Fasciste vagliavano le richieste (non mancava chi faceva più domande con nomi diversi. Venivano poi distribuiti pacchi per bambini con generi alimentari, oggetti di vestiario e giocattoli; molti articoli erano donati dalle ditte, scampoli ecc. Altri erano acquistati con i proventi di collette pubbliche.
Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI)
Prima sede nella casa di Croci, poi Zaganelli. Vi si collocava il Refettorio materno che provvedeva pasti alle donne in stato interessante o che allattavano, per tutto l’anno. Il nido materno era per bambini fino a tre anni, dopo passavano all’asilo Cavour, in pratica l’attuale scuola materna. Le donne vi mandavano volentieri i figli, soprattutto le tabacchine, perché c’era un accordo con la FAT in base al quale due operaie a turno si rendevano disponibili mezz’ora prima e due ore dopo il normale orario di 8-16, per tenere i bambini e permettere alle tabacchine di lavorare per l’intero orario di lavoro. C’era l’ambulatorio per il controllo sanitario di madri e bambini (ogni bambino veniva controllato una volta al mese, spesso venivano distribuiti latte ecc.). A capo di tutta l’organizzazione ONMI vi era l’assistente sanitaria Maria Pezzini; la responsabilità politica ricadeva sul Fascio Femminile. Subito dopo la guerra l’ONMI si trasferì a Palazzo Margherini (ne fu a lungo presidente Ruggeri).
Dichiarazione di guerra. Entusiasmo e avvilimento
Quando suonarono le campane per chiamarci a raccolta in piazza per ascoltare la dichiarazione di guerra di Mussolini, non andai in piazza. Mio marito era sbarcato da tre giorni a Tobruk: con che stato d’animo… C’era il convincimento che la guerra sarebbe durata poco e si sarebbe risolta in una immancabile vittoria. Pian piano si fece strada un certo avvilimento, l’entusiasmo cominciò a svanire. Il 1943 fu l’anno della disillusione.
Passaggio del fronte alla Montesca
Durante il passaggio del fronte i tedeschi posero il loro comando alla villa Montesca. Noi eravamo sfollate alla Casa di Amministrazione, presso la scuola. Vi funzionava anche il primo posto di soccorso tedesco dietro la linea del fronte. Vi operava un dottore austriaco che parlava italiano, ed un infermiere. Ponemmo un’enorme croce rossa sul piazzale antistante. Condividemmo anche il cibo. I tedeschi portavano i rifornimenti a mezzanotte; il dottore voleva che noi mangiassimo con lui a quell’ora, avremmo potuto morire prima del successivo pasto… Vi erano sfollate in tutto una cinquantina di persone. Il dottore non volle che alcun uomo armato sostasse lì, per evitare rappresaglie nemiche. Nessuno ci torse un capello. I combattimenti scoppiarono furiosi nei pressi. Vedevamo dietro le finestre schegge come rondinelle; la mattina ne trovavamo il cortile sparso. Dopo la liberazione la gente di Castello si stupì che si era ancora vivi, dopo il fumo che aveva visto innalzarsi da lassù.
Dopo i tedeschi giunsero inglesi ed indiani. La villa ne subì. Per fare del buon tè bruciarono gli scuri delle finestre, perché quella legna ardeva bene e veloce. Le tende del salone erano di damasco rosso, foderate di giallo; i sikh presero le fodere per i loro turbanti.

 

Testimonianza raccolta da Alvaro Tacchini il 9 novembre 1989. Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.