Quando la figlia Nicarete, avuta dalla moglie Lucia Franceschetti, intraprese gli studi universitari in medicina, Nicasi si trasferì a Firenze per sostenerla nell’impegno. Anche lui ebbe così modo di dedicarsi ancora allo studio.
Nicasi si interessò in particolar modo delle tradizioni popolari. Scrisse Dei segni numerici usati attualmente dai contadini della valle di Morra nel territorio di Città di Castello (Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, vol. XII, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia 1906) e Le credenze religiose delle popolazioni rurali dell’Alta Valle del Tevere (Società di Etnografia Italiana, Loescher, Roma 1912).
Quest’ultimo lavoro gli fu recensito da Giulio Pierangeli, ne “La Rivendicazione” del 12 aprile 1919. Affermò Pierangeli:
“Il dottor Nicasi non muove da alcuna tesi preconcetta: si preoccupa solo di raccogliere dalla viva voce dei contadini di Morra e della valle del Nestoro le leggende e le tradizioni religiose e di coordinarle in guisa da dare al lettore l’impressione di quello che è realmente il cattolicesimo nell’animo dei contadini, e giunto alla fine del suo studio così conclude sobriamente: ‘Tali credenze, quantunque abbiano indubbiamente finalità cristiane (noi diremmo piuttosto vernice cristiana, n.d.r.) pure lasciano intravedere il substrato pagano sul quale sono sorte. Esse rispecchiano gli interessi e costumi e le aspirazioni delle classi rurali, che in gran parte le hanno elaborate’”.