Locomotiva alla stazione di Città di Castello.
Passaggio a livello all'imbocco dell'attuale viale De Cesare.
Tessera omaggio, disegnata da Enrico Hartmann e stampata alla "Lapi".

Lo scontro si inasprisce

Parve a tutti chiaro che la F.A.C. volesse uscire da quella vertenza con le mani libere di poter “licenziare chi meglio le fosse piaciuto”. Tanta arroganza finì con il compattare la comunità altotiberina a sostegno dei ferrovieri. Se appariva scontata la furibonda reazione dell’on. Cabrini (“stupito, indignato sleale procedere vostra direzione, ne parlerò al Ministero” – così telegrafò alla società belga), colpì l’opinione pubblica l’onestà del conservatore Franchetti, il quale, avrebbero ricordato i socialisti, “simpatizzò con gli scioperanti, e parlò con l’abituale schiettezza rude in un grande comizio al Teatro degli Illuminati”.

In effetti i ferrovieri godevano ormai dell’appoggio degli “onesti  dei vari partiti”. Mentre anche ad Anghiari, Pieve Santo Stefano e Umbertide furono affissi manifesti e approvati ordini del giorno di solidarietà nei loro confronti, il Comitato Pro Ferrovieri promosso dalla Società Operaia di Città di Castello estese la sottoscrizione per sussidiare le famiglie degli scioperanti che stavano perdendo il loro salari. Inizialmente – riferì “Unione popolare” – l’iniziativa aveva urtato contro l’insensibilità degli ambienti borghesi, gli unici che potevano elargire somme significative: “Si curvarono le più venerande collottole, s’incresparono le fronti più anguste, si aggrottarono le più filosofiche sopracciglia; [sentenziarono] ‘che il comitato, sebbene mosso da un generoso spirito di umanità, sarebbe riuscito, pel suo scopo, dannoso, giacché aiutare gli scioperanti era quanto fomentare e prolungare lo sciopero’. Le quali parole, nudate d’ogni ipocrisia della frase, sonavano così: ‘Gli scioperanti cederanno solo per fame; ben venga dunque la fame, e al diavolo i misericordiosi guastamestieri’”.

L’ostinata chiusura della F.A.C. e l’affronto alla personalità più prestigiosa dello schieramento moderato altotiberino, l’on. Franchetti, trattato “come se fosse il più guitto dei cantonieri o il più analfabeta dei frenatori”, a giudizio di “Unione popolare” indignò la borghesia locale e la sottoscrizione a favore dei ferrovieri, prima considerata “quasi un delitto”, divenne “addirittura un dovere”. Lo stesso Franchetti offrì 200 lire. In totale si sarebbero raccolte L. 2.351,80 con sottoscrizioni di ampio coinvolgimento cittadino a Città di Castello, Umbertide, Fossato di Vico e Arezzo e contributi donati dagli operai dello Stabilimento Buitoni e del Magazzino Tabacchi di Sansepolcro, dal personale di fabbriche di Gubbio e Foligno, dalle sezioni socialiste e repubblicane altotiberine, di Foiano della Chiana e di Gubbio, dalle Società di Mutuo Soccorso fra gli operai agricoli di Trestina e di Gubbio e dai ferrovieri di numerose località italiane.

Sabato 26 ottobre, quindicesimo giorno di astensione dal lavoro, “Unione popolare” plaudiva alla “mirabile compattezza degli scioperanti” e  inneggiava a quella “lotta titanica contro l’ingordigia capitalistica, contro lo sfruttamento, la vessazione eretti a sistema”. Si legge inoltre nel settimanale: “Anche il Municipio e il Consorzio – ultimi venuti – hanno dovuto, di fronte alla remissiva docilità del personale, convenire che la colpa di questo prolungarsi di una condizione di cose disastrose alle industrie, al commercio, ed a tante famiglie non era per motivo del personale, che avendo ceduto sopra tante domande e limitandosi a chiedere con l’organico una certa stabilità, non avea torto. Ora la misura è davvero colma! Il paese ha abbastanza e ben giudicato gli ultimi atti di questa banda di ingordi speculatori belgi […]”.

In effetti sabato 26 ottobre interveniva sulla vicenda anche il quotidiano dei moderati umbri. “Unione liberale” ammise che si doveva “riconoscere non essere ingiuste le pretese degli scioperanti”. Dette voce pure alla posizione della F.A.C., che lamentava una situazione finanziaria tale da non poter concedere aumenti salariali, e invitò i ferrovieri a riflettere: “La loro paga è esigua, ma forse la loro condizione diverrebbe peggiore il giorno in cui la ferrovia cessasse di funzionare”.

Poi, però, analizzando attentamente i bilanci della società in tutti gli anni di esercizio della linea, fece notare che, dopo aver accumulato perdite fino al 1893, la F.A.C. aveva visto da allora sensibilmente crescere gli introiti. “Unione liberale” concluse: “[…] ancora la Società può dire di non aver rimesso tutte le sue cose al posto […] però è certo che, dato questo guadagno, insperato di fronte ai risultati dei primi anni, i ferrovieri hanno diritto di parteciparvi”.

Nel contempo “Unione liberale” rivelava l’intenzione delle autorità governative di intervenire per ripristinare il servizio nonostante lo sciopero, decisione ritenuta “lodevole” dal giornale.

In quello stesso giorno il consiglio comunale di Città di Castello votò un ordine del giorno che inviava “un fraterno saluto ai ferrovieri pel loro contegno altamente civile nella lotta per ottenere il miglioramento della loro esistenza” e si augurava che la società belga si mostrasse “arrendevole per far cessare il conflitto quanto prima”.