L’orto di San Francesco, tra via dei Lanari e pomerio San Bartolomeo, ora sede della Scuola Operaia. Originariamente ospitava lanifici e, poi, la Filanda Palazzeschi.
Lo scenario all’inizio dell’‘800
Nei primi anni ’20 del XIX secolo l’industria tessile tifernate aveva una consistenza assai modesta. Mancavano del tutto fabbriche di tessuti di lana. Si legge in una relazione municipale: “In questa città non esistono fabbriche di lana, né fabbricatori o tintori riconosciuti ed autorizzati legittimamente, poiché quelle mezzelane, saie e rozzi castorini che qui si lavorano, sono un oggetto per la massima parte di domestica economia e risparmio dei poveri e dei contadini, che si contentano di supplire ai propri bisogni con minima spesa”. Quanto alle gualchiere (“valchiere”), benché agissero per mezzo delle acque – riferisce un documento di poco precedente –, “non costituiscono fabbricazione di alcun genere ma servono soltanto a purgar dall’olio i panni lani, che si lavorano dai particolari per proprio uso”. Inoltre il Comune giustificò il mancato acquisto di una “macchina per preparare i lini e le canape senza macerazione”, perché tali prodotti venivano coltivati localmente “in pochissima quantità”. Essendo il territorio molto esteso, – sottolinearono i magistrati tifernati – “abbisognerebbero molte machine per fare comodo alla popolazione, e queste agirebbero poco, per la scarsezza del prodotto, e resterebbero molto inoperose”. Il documento rivelava pure lo scetticismo nei confronti delle nuove tecnologie. In quel primo scorcio del secolo, pertanto, l’unica “fabbrica” tessile talvolta citata era quella di “peluzzi e dobletti” situata negli ospizi dell’ospedale.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note