Lo sviluppo industriale più marcato, e con rilevanti implicazioni urbanistiche, riguardò la Fattoria Autonoma Tabacchi. Le varie fasi di ampliamento delle sue strutture produttive mutarono lentamente il volto ad un’ampia area della città. Mentre gli altri opifici industriali sorti all’interno del centro storico si erano adattati a strutture preesistenti, quasi mimetizzandosi nell’abitato, la F.A.T. realizzò progressivamente un intervento urbanistico di vaste proporzioni, costruendo fabbricati laddove prima si estendevano orti, effettuando demolizioni e ristrutturazioni che non risparmiarono la chiesa di Santa Caterina, cancellando completamente via del Campaccio e colmando l’intera zona con prosaici capannoni industriali, destinati, però, a dare occupazione a centinaia di persone. È significativo il fatto che proprio l’industria affermatasi come la più importante della città dovesse lasciare l’impronta più profonda.
Nel 1919, la F.A.T. aveva in affitto il pianterreno dell’ex convento di San Domenico, appartenente all’Opera Pia Muzi Betti, e la casa e l’antica sagrestia di Santa Caterina, di proprietà dell’Ospedale. Già allora manifestava l’intenzione di costruire nell’orto di Santa Caterina un edificio a due piani che avrebbe congiunto l’omonima casa con l’ex convento.
La documentazione fotografica dei primi anni Venti mostra come, oltre al magazzino iniziale, esistesse una nuova struttura tra via del Campaccio e via Borgo Farinario e come la chiesa di Santa Caterina fosse adibita a deposito delle botti. A ridosso delle mura urbiche si situava la segheria Garinei, autonoma dalla F.A.T., ma ad essa legata da un accordo per la produzione delle botti.
Alla fine del decennio — nel 1927 la F.A.T. occupava 77 uomini e 215 donne — le rosee prospettive di sviluppo della coltivazione del tabacco crearono i presupposti per un ulteriore ampliamento, con la costruzione di altri essiccatoi nel quadrilatero delimitato dalle due vie suddette e da via Oberdan e via delle Santucce.
Una decina di anni dopo, l’esigenza di nuovi stabili portò all’acquisto della casa di proprietà di Dina Vincenti, poi adibita ad uffici, dell’annesso orto, della chiesa di Santa Caterina, di via del Campaccio e dell’area occupata dalla segheria, con il chiaro intento di realizzare un unico insediamento produttivo compreso tra l’ex convento di San Domenico e le mura. Contemporaneamente, si erigeva a Rignaldello un magazzino per il deposito del tabacco imbottato.
La chiusura di via del Campaccio, decisa dal podestà alla fine del 1939 per assecondare il progetto della F.A.T., creò qualche tensione fra il comune e la Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna. Il Soprintendente, infatti, subordinò l’autorizzazione al fatto che il comune investisse il ricavato della vendita della via nell’acquisto di una parte dell’orto adiacente Palazzo Vitelli alla Cannoniera, definito uno “sconcio”, per trasformarlo in un più decoroso giardino. La controversia fu appianata in tal senso dopo l’intervento della Federazione fascista perugina.
L’acquisto della chiesa di Santa Caterina fu effettuato nel 1942, per la somma di L. 60.000. Allora il numero complessivo dei dipendenti della F.A.T. ammontava a circa 700.