Città di Castello si è sempre caratterizzata per il particolare contributo dato all’industria tipografica dalle donne che, nel periodo fra le due guerra, rappresentavano quasi la metà del totale degli addetti negli stabilimenti.
Impiegate soprattutto come compositrici a cottimo, ma pure come mettifoglio e rilegatrici, le donne avevano cominciato a ricoprire questa occupazione sin dai primi anni di attività della «Lapi». La precarietà delle condizioni socio-economiche della città infatti, le spingeva a cercare un lavoro che, per quanto mal pagato, permetteva un’integrazione delle modeste retribuzioni dei mariti operai.
Il consistente impiego di manodopera femminile andava incontro soprattutto agli interessi delle aziende che, retribuendo in maniera sensibilmente inferiore il lavoro delle donne, anche a parità di qualità e di quantità con quello degli uomini, mantenevano bassi i costi di produzione ed erano in grado, così, di vincere la concorrenza di altre piazze tipografiche. «La donna compositrice», scriveva «La Rivendicazione» il 23 marzo 1912, «è la concorrente, sia pure involontaria, dell’uomo compositore. Dopo il necessario apprendissaggio […] la donna passa nel ruolo dei cottimisti e dei settimanali, però con una tariffa ed una paga inferiore di quella con la quale viene retribuito il compositore uomo»
Nonostante il tentativo di colmare le differenze salariali tra uomini e donne con i concordati del biennio 1919-1921, i risultati effettivi furono molto parziali. Nel 1921, una mettifoglio o libraia guadagnava 45 lire, quanto un semplice uomo di fatica della tipografia, purché dimostrasse «di saper disimpegnare ogni genere di lavoro relativo al proprio reparto e di esercitare il mestiere da almeno 5 anni». Alla palese ingiustizia di ordine retributivo si aggiungevano i rischi per la salute che correvano le compositrici per la continua esposizione al piombo e all’antimonio.