La contrapposizione con i socialisti non deve indurre a considerare Carlo Liviero ostile al progresso sociale, o schierato con le forze politicamente più conservatrici. L’uomo e il vescovo non meritano affatto giudizi affrettati o semplicistici. Certamente, all’inizio, fu un convinto assertore dell’unità politica dei cattolici, con toni di forte integralismo; inoltre la sua avversione a ogni forma di contrapposizione di classe inevitabilmente sfociava in posizioni venate di paternalismo. Però non ebbe affatto una concezione retrograda della carità cristiana: per lui beneficenza significò assistere con affettuosa premura gli orfani (di qui l’Opera Sacro Cuore), rafforzare la salute dei bambini più esposti alle malattie (le colonie estive), educare la gioventù (la Scuola Vescovile) e istruire i fanciulli in un mestiere, perché acquisissero una loro autonomia nella società (la Scuola Tipografica degli Orfanelli).
Inoltre, nel primo dopoguerra, dette un appoggio convinto al movimento sindacale di ispirazione cristiana e al Partito Popolare, che a Città di Castello avevano trovato in Venanzio Gabriotti un autorevole leader. E i popolari tifernati non costituivano una forza conservatrice: Gabriotti rifiutava per il partito un ruolo da “carabiniere della borghesia decrepita” ed auspicava un “programma di vera e spinta democrazia”, per “rompere i ponti con tutto quanto socialmente rappresenta il passato”. Nel contempo Liviero vide con favore la fondazione di cooperative e di casse rurali: l’Associazione Piccoli Proprietari, il Sindacato Contadini, la Cooperativa Agricola Tifernate e le Casse Rurali di Trestina e Petrelle, che sorsero in quel periodo, rappresentavano sì delle “isole bianche” in un territorio nel quale i socialisti stavano acquisendo una vistosa egemonia politica e sindacale, ma contribuivano alla crescita del movimento dei lavoratori.
Intanto, qualcosa era cambiato nei rapporti tra Liviero e gli avversari di un tempo. Per quanto, nel turbolento biennio 1919-1921, la lotta politica restasse aspra e non mancassero momenti di acuta tensione tra socialisti e cattolici, non vi furono più attacchi personali a Liviero. Anzi, “La Rivendicazione” ammise la positività dell’azione caritatevole del vescovo e, a proposito dell’Opera Sacro Cuore, scrisse: “[…] è da avversari onesti il riconoscerlo, è stato utile a qualche cosa”. Lo stesso Liviero nelle questioni politiche abbandonò i toni spigolosi e usò espressioni nuove: pur indicando nel P.P.I. il partito di ispirazione cristiana verso il quale indirizzare preferibilmente i consensi, ammise la “completa libertà al Clero ed ai fedeli di agire in politica secondo i dettami della loro coscienza, e dei loro principi cattolici”. Un’importante affermazione di principio, impensabile solo pochi anni prima. Ma che il suo cuore battesse per i popolari lo confermò l’amarezza con cui reagì alla vittoria dei socialisti nelle elezioni politiche del 1919, imputando l’insuccesso del P.P.I. all’inadeguata mobilitazione dei cattolici.
Proprio le sconfitte elettorali del 1913 e del 1919 forse contribuirono a far maturare in Liviero un atteggiamento più distaccato nei confronti delle questioni politiche. Da un lato stava crescendo una generazione di laici – Gabriotti non era il solo a partecipare attivamente alla vita pubblica – degni di fiducia e in grado di operare con una certa autonomia; dall’altro diventava sempre più difficile mantenere l’unità politica dei cattolici. Di lì a poco, la questione dell’atteggiamento da assumere verso il fascismo avrebbe mostrato l’esistenza tra i popolari tifernati di posizioni ben distinte e, in certi momenti, del tutto inconciliabili. Inoltre dovette farsi strada la convinzione che, più che i partiti, fossero importanti le idee e quindi la capacità di agire a livelli più profondi di quello politico per far maturare una società più giusta e cristiana. Molti interrogativi restano comunque senza risposta, perché quei socialisti che a Città di Castello Liviero aveva combattuto, ma non sconfitto, e contro i quali avrebbe potuto ancora scontrarsi, furono scompaginati e messi a tacere nel 1921 dallo squadrismo fascista.