Laurenzi Domenico. La banda di Morra

Domenico Laurenzi (1924-2014), detto Menco de Sciattino, è stato coltivatore diretto nel voc. Palazzetto, a ovest di Morra. All’epoca della guerra viveva con i genitori e il fratello Angelo. Avevano un piccolo podere, coltivavano grano, granturco, fagioli, patate; producevano un po’ di castagne; avevano due buoi da lavoro, delle pecore e maiali.
Dopo lo sbandamento delle truppe italiane in seguito all’armistizio, tornò dalla Jugoslavia in condizioni avventurose, viaggiando per lunghi tratti a piedi.
Ecco alcuni dei suoi ricordi di vita partigiana.

Renitente alla macchia, con il fratello
“Mi sono dato subito alla macchia. Ero disertore e c’erano i bandi per l’arruolamento. Però non sapevano che era ritornato, perché mi sono nascosto subito. Anche mio fratello Angelo, che era del 1925, ricevette poi la cartolina per l’arruolamento e non si fece trovare. Ma lui non si unì a noi partigiani (ha fatto lo sfollato). Rimase nascosto intorno a casa, dava una mano nei lavori e all’epoca del passaggio del fronte mise in salvo il bestiame.
Era facile nascondersi da quelle parti. C’erano boschi e, sopra la collina, delle case disabitate verso Roccagnano. Quindi in un primo momento mi sono rifugiato lì con mio fratello, con un cugino di Morra e con altri. Non si aveva armi. Si fuggiva perché c’era il bando del soldato; ero giovino…
Una volta vennero i carabinieri: io e Angelo saltammo dalla finestra del piano di sopra e scappammo.
La banda partigiana di Morra
Quando non si poteva resistere più, perché s’era tutti spartiti, chi qua chi là, con i fascisti che ci cercavano, abbiamo deciso di collegarci e di fare i partigiani. Prima s’era ognuno per conto suo, a gruppetti, se cercava solo de salvà la pelle.
Noialtri se gìa a la machia per salvàse, non per fa la guèra; doppo tocchèa fàlla.
Il nostro gruppo era a Meone Vecchio; il covo è stato sempre lì, fino al passaggio del fronte. Tutti italiani e di Morra.
La gente ci proteggeva, ci aiutava, era d’accordo con noi. Ci avvertiva se c’era qualcosa di strano. A Morra era facile accorgersi se arrivava qualcuno. Allora ci avvertivano e si scappava (scappéva) e ci si nascondeva.
I miei genitori però non erano contenti che ero partigiano; lo sapevano che i tedeschi non scherzavano.
Prime armi: i moschetti 91 presi ai fascisti al Monte. Avevamo i nostri schioppi da caccia, ma li avevamo nascosti a casa, tra i barchetti, i covoni, di grano. Armi dagli inglesi noi di Morra non le abbiamo mai avute.
Io non ho mai partecipato agli incontri dei capi, dei nostri superiori: i Nicasi, Zambri, Pacciarini. So che i nostri si incontravano con quelli del Monte. Io ero sempre di guardia. Tutte le notti di guardia. Ero giovino.
Cattura di un soldato tedesco
Una volta ci mandarono in tre, armati di moschetto, ad aprire il magazzino del consorzio agrario al Gioiello e a distribuire il grano alla popolazione. Mentre si faceva questo, è sopraggiunto un tedesco in motocicletta, era un portaordini. La strada era pericolosa, perché passavano in continuazione i tedeschi. Svelto, si è nascosto dentro una casa; ma nel fare questo gli è caduta la rivoltella. Per fortuna, altrimenti ci poteva ammazzare. A quel punto lo abbiamo preso prigioniero. Mentre si portava su a Meone, ci trattava male, ci si rivoltava come un cane, ci offendeva; parlava tedesco con parolacce in italiano, un italiano imbarazzèto. M’era presa la voglia di ammazzarlo prima di portarlo al comando. Dopo è stato consegnato al campo di concentramento che avevamo a Marzana.
Imboscata a un camion tedesco
Abbiamo teso un’imboscata ai tedeschi nella zona dei Lamati, verso Castello. Non era una strada principale per i tedeschi, ma ci passavano tutte le sere. Si era appostati sopra un colcello (“eremmo ntu n colcèllo, n colcellino alto, eremmo tutta nna squadra”). A un certo punto passano un camion tedesco con una moto. Quando si fece fuoco, il motociclista cadde dalla moto, si rialzò svelto e riuscì a sparire. Ho tirato una bomba a mano (di quelle con il manico) sopra al camion, ma non esplose; non le sapevamo usare bene. Il camion quindi riuscì a scappare. Nessuno rispose al nostro fuoco.
Il capitano Greenwood
Il capitano Greenwood è quello che ho chiappèto io. Erano stati paracadutati due inglesi verso il Borgo. Uno era stato preso prigioniero; un altro era riuscito a passare le linee tedesche. Una notte ero di guardia a Meone con Burini. Poi sono rimasto solo, perché Burini è andato a fare la scorta ai capi, che avevano un incontro con quelli del Monte. Avevo una pistola, de quelle che sparèa, tirèa. Verso l’1 de notte mi capita davanti questo; era bujio, nci vedéo. Cavo la pistola, ho dato l’alt e gli ho detto di alzare le mani. Lui non rispondeva, allora gli ho sparato; l’ho preso di striscio “sotto tello”, sotto l’ascella; gli ho forato la camicia. Lui sempre fermo, si è accostato a mani alte e ho visto che non lo avevo chiappèto. Pensavo che era tedesco. L’ho preso e l’ho portato in casa. Siamo stati soli, senza dirci niente, per tutta la notte. Ho aspettato fino a giorno, quando sono tornati gli altri. Tra di noi c’era qualcuno che parlava qualche parola di inglese e abbiamo capito chi era.
Rastrellamenti tedeschi
Da queste parti non ci sono stati. Venivano i fascisti a cercare renitenti e disertori; ma percorrevano solo le strade. Una volta sono andati a Muccignano e hanno perquisite le case, perché sapevano che ci stavano anche i partigiani. Ma nel bosco non avevano il coraggio di venirci.
Non abbiamo avuto requisizioni di bestiame. È stata una zona risparmiata dalle razzie dei tedeschi. Non venivano forse anche per difficoltà di comunicazioni.
Passaggio del fronte
Durante il passaggio del fronte sono tornato a casa mia e ho dato una mano a salvare le nostre cose e il bestiame. Io la mi parte aéo stentèto; basta co la guèra…
Poi sono stato utilizzato nel corpo di polizia per i posti di blocco, a Castello e a Monterchi; sarà durato una mesata.

 

Testimonianza raccolta da Alvaro Tacchini il 17 maggio 2013. Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.