Il Capo della Provincia Armando Rocchi.
Biglietto gettato da una finestra dai Santinelli.
Il partigiano Aldo Arioldi
Sergio Lazzerini
Lino Mercati

L’assedio della villa e l’arrivo dei tedeschi

Alle 10.30, poco dopo l’arrivo di Armando Rocchi, giunsero da Perugia “un plotone armi accompagnamento, una squadra mitraglieri più una squadra mortai da 45 al comando di un ufficiale”. Rocchi trovà la truppa fascista “priva di un capo” e “alquanto sbandata”. Dopo essersi informato sulla situazione, espresse severe critiche su come era stata gestita l’operazione e se la prese con il seniore Gambuli, annunciandogli che l’avrebbe destituito dal comando del centro di addestramento della GNR. Gambuli rispose che la responsabilità delle decisioni militari era stata di competenza dei comandanti di compagnia Ceccarani e Scotti. Rocchi chiamò a sé l’altro ufficiale tifernate Alvaro Sarteanesi, ordinandogli di procedere con l’attacco alla villa; ma questi fece presente che né lui né i suoi uomini erano “in condizioni di fare tale azione”.
A quel punto Rocchi prese in mano la situazione. Dopo aver rettificato la posizione dei reparti, ordinò ai mortai da 45 di aprire il fuoco contro la villa. I partigiani continuarono a rispondere con decisione al fuoco dei fascisti e rigettarono l’invito alla resa – con la promessa di aver salva la vita – lanciato da Rocchi e dal col. Di Prospero, comandante dei reparti giunti da Perugia.
Prima di partire per Villa Santinelli, Rocchi aveva informato il comando tedesco dell’assedio in corso, ricevendo l’assicurazione che avrebbe inviato rinforzi nel pomeriggio, non appena portata a compimento una concomitante operazione in un’altra località.
Intanto erano riusciti avventurosamente a fuggire dalla villa due dipendenti dei Santinelli: “Circa le ore 12 si presentarono al Rocchi degli individui sporchi di fango e stralunati. Dissero di essere uno il fattore e l’altro uomo di fatica del Santinelli, che audacemente erano riusciti a scappare dalla villa, eludendo la vigilanza degli assediati e attraversando carponi una fogna che dalla cantina portava all’esterno del muro di cinta della villa, passaggio noto a loro soli”.
Anche alcuni degli assediati trovarono una via d’uscita. Non è chiaro quando ciò successe non precisione, ma fu comunque prima dell’arrivo dei tedeschi. Raccontò Sante Santinelli: Dopo alcune ore i partigiani ebbero un momento di incertezza, dato il notevole numero di aggressori, che aveva frattanto ricevuto rinforzi da Città di Castello, che avevano mobilitato tutti i suoi uomini; consigliati anche da me, decidevano ritirarsi ed io li accompagnai a lumi spenti per una uscita di servizio tenendoli per mano; ma arrivati alla porta, alcuni, in numero di 5 (ma forse 4), uscirono; gli altri 13 rimasero e ripresero la battaglia”. Più fonti concordano nell’indicare in cinque i partigiani che riuscirono a fuggire in quella circostanza: di certo Arioldo Arioldi e uno o due stranieri; probabilmente anche Mario Geppetti.
Giulio Pierangeli sostiene che prima dell’arrivo dei tedeschi anche i Santinelli – il padre e i due figli – furono messi in condizione di evacuare la villa. Nelle prime ore della battaglia il figlio Giovanni Battista aveva lanciato da una finestra un biglietto agli assedianti; c’era scritto: “Siamo prigionieri nella camera del babbo non mitragliate”. Solo verso le ore 16 si mettevano al sicuro, dopo essersi calati “con l’aiuto di un ribelle, attraverso fori praticati nei pavimenti, dalla camera dove erano custoditi nel granaio sottostante e da qui nella cantina”.
Armando Rocchi confidava di poter piegare la resistenza degli assediati senza il sostegno germanico. Sulla base delle informazioni fornite dai due fuggiaschi dalla villa, il col. Di Prospero elaborò un piano per occupare la parte superiore dell’edificio e prendere così in trappola i partigiani. Mentre i reparti fascisti prendevano posizione per l’incursione, Rocchi tentò di avvisare i tedeschi che non c’era più bisogno di loro. Ma le comunicazioni telefoniche restarono a lungo interrotte a causa di un allarme aereo. Rocchi rievocò quanto seguì con queste parole: “[…] non potendo dare ancora inizio al piano Di Prospero, perché il reparto a questo compito designato non aveva ancora completato lo spostamento, fu tentato dar loro una seconda intimazione di resa, sempre promettendo salva la vita, e questa volta per meglio indurveli, fu detto loro che erano per giungere reparti tedeschi. Essi risposero ‘che ai tedeschi si arrendevano, ma agli italiani no'”.
Giunsero infine i sei mezzi blindati inviati dal Comando di Polizia Germanica. Dopo un lungo e animato confronto tra Rocchi e un ufficiale tedesco, entrarono in azione intorno alle ore 17.15. Sotto i loro colpi la villa cominciò a cadere in rovina. Per gli assediati, i quali, oltre che fisicamente provati, stavano esaurendo le munizioni, non vi era più scampo. Come vissero quei momenti ebbe a raccontarlo il partigiano Lino Mercati. Lui e i compagni tentarono due volte la fuga dall’edificio, ma senza esito. Quando venne loro chiesto di arrendersi, si consultarono sul da farsi. Nannei nel frattempo era “sparito”. Decisero che non avrebbero mai ceduto le armi ai fascisti, ma solo ai tedeschi. Scelsero come intermediario per la trattativa Sergio Lazzerini. In una sua memoria, Lazzerini riferì pure che i partigiani, “consapevoli della fine imminente”, decisero di svelare l’uno all’altro le proprie identità, fino ad allora celate dietro il numero che fungeva da nome di battaglia.
Quando Lazzerini comunicò all’esterno la decisione di non volersi arrendere ai fascisti, i militi della GNR ripresero a sparare. I partigiani risposero fino all’esaurimento delle munizioni. Poi intervennero i tedeschi, che “saltarono giù dalle autoblinde ed assaltarono a piedi la villa”.
Verso le ore 18.30 dieci partigiani uscirono a mani alzate dalla villa. Secondo la testimonianza di Lazzerini, era stato loro promesso di aver salva la vita in caso di resa. Mercati e altri due compagni, tra cui Nannei, tentarono di nascondersi all’interno della villa.

 

Testo privo di note tratto da Alvaro Tacchini, La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017.