Invito all’arruolamento da parte della brigata partigiana aretina.
Mostrina del Gruppo di Combattimento "Cremona".

L’arruolamento nei Gruppi di Combattimento “Cremona” e “Legnano”

All’inizio del dicembre 1944 il comandante della Brigata Proletaria d’Urto “San Faustino”, Stelio Pierangeli, fece pubblicare un manifesto con questo appello: “Patrioti, la lotta che contro la nostra volontà sospendemmo l’11 luglio può essere ripresa. I comandi alleati e italiani, accogliendo le nostre richieste, hanno stabilito di trasformare le nostre Bri­gate Garibaldine in Gruppi Italiani di Combattimento che, inquadrati nelle grandi unità operanti, verranno inviati quanto prima al fronte. I nostri morti, le infinite sofferenze inflitte dall’invasore ci impongono ancora una volta le armi. Patrioti, arruoliamoci!”

Già nei mesi precedenti forze armate italiane avevano combattuto a fianco degli Alleati. Il Corpo Italiano di Liberazione era stato impiegato sul versante adriatico, come elemento di congiunzione tra la X armata britannica e il corpo d’armata polacco, tallonando i tedeschi in ritirata verso la Linea Gotica. Fu il CIL a contribuire alla liberazione del territorio marchigiano limitrofo all’Alta Valle del Tevere, da Cagli ad Acqualagna, Urbania e infine Urbino, il 28 agosto.

Proprio in quel periodo, esaurendosi la funzione del CIL, gli Alleati accettarono di schierare in prima linea delle divisioni italiane. Vollero però denominarli Gruppi di Combattimento, per rimarcarne la subalternità rispetto alle loro forze. Sorsero così il “Cremona” e il “Friuli” (entrambi con truppe a suo tempo stanziate in Corsica, poi ritiratesi in Sardegna e infine riaccorpate nell’Italia meridionale), il “Legnano” e il “Folgore”. Li comandava il gen. Clemente Primieri.

Siccome lo stato maggiore italiano non fu in grado di colmare gli organici con la leva obbligatoria, richiese l’adesione volontaria degli ex-partigiani. Si rivolse ai giovani delle classi di leva fino al 1927, con “ottimi precedenti politici [e] facenti parte di formazioni partigiane come combattenti o collaboratori”. Se non provenienti dalla Resistenza, dovevano comunque dare “sicuro affidamento di poter ben militare nelle file del rinnovato Esercito da impiegarsi nella lotta per la liberazione dei fratelli del Nord che ancora subi[vano]gli orrori del dominio Nazi-fascista”. Il trattamento economico era di “circa L. 55 giornaliere per gli uomini di truppa fra assegni ed indennità”.

L’operazione, che ebbe anche il merito di consolidare il sentimento patriottico di chi aveva combattuto alla macchia, fu coronata da successo. Nel 21° reggimento del “Cremona”, la componente partigiana rappresentò circa il 60% degli effettivi.

La quasi totalità dei volontari altotiberini, insieme a molti altri umbri e toscani, confluirono proprio nei due reggimenti di fanteria del Gruppo di Combattimento “Cremona”, il 21° e il 22°. Dall’Umbria ne partirono oltre 500, con una partecipazione importante di ternani (quasi il 60% del totale) e un apporto ben più modesto da Perugia (appena una trentina).

Il contributo dell’Alta Valle del Tevere al “Cremona” e in misura ben più ridotta al “Legnano” fu significativo, con almeno 173 volontari, di cui 87 allora residenti a Città di Castello, 43 a Sansepolcro, 1 ad Anghiari, 25 a Umbertide, 12 a Pieve Santo Stefano e 5 a San Giustino. Anche se gli ex-partigiani costituirono il nerbo delle reclute altotiberine, statisticamente rappresentarono solo il 25% circa del totale. Quanto all’età, la metà aveva da 21 a 25 anni; un altro quarto da 18 a 20 anni; poco più del 5% da 16 a 17 anni. I volontari provenivano dai centri urbani della valle; sui giovani contadini – che pure molto avevano dato alla Resistenza – gravava un compito ineludibile: riavviare la produzione agricola in condizioni difficilissime, per le devastazioni apportate dalla guerra alle campagne, per l’insidia delle mine sparse nel territorio rurale e per le razzie di bestiame compiute dai tedeschi, che facevano mancare anche i bovini, allora essenziali per il lavoro sui campi.

Un primo scaglione di volontari partì con un convoglio di camion militari da Città di Castello il 20 gennaio 1945. Il cospicuo contingente era comandato da Stelio Pierangeli ed Enrico Ferri e aveva tra i graduati Carlo Corsi, Giuseppe Battocchi, Livio Dalla Ragione, Alberto Ivano Nar­di, Giovanni Taffini e Luigi Turchi. Un secondo gruppo di volontari lasciò la valle il 29 gennaio. Vi si aggregarono gli umbertidesi. Gli umbertidesi furono inseriti nella 9ª compagnia del 22° reggimento, quasi tutti nel 3° plotone; il ten. Pasquale Ceccarelli comandò il 2º plotone, con cinque compaesani. I tifernati di quello scaglione di reclute entrarono nel 1° plotone.

Toccò infine ai volontari della Valtiberina toscana, il 19 febbraio. Tra di essi Emilio Mattei: “Credevo di essere il più giovane tra i partenti, ma rimasi colpito dalla presenza di un amico d’infanzia: Arduino Brizzi, appena sedicenne […] che risultò essere, assieme al coetaneo Virgilio Senesi di Pieve Santo Stefano, tra i più giovani volontari del Gruppo di Combattimento ‘Cremona’”.

Nel clima di entusiasmo per la recuperata libertà, queste partenze furono ovunque anticipate da feste danzanti. A Città di Castello li chiamarono “veglioni dei partenti”. Non tutto filò liscio, anche per le frizioni provocate dall’anticomunismo viscerale delle truppe polacche di stanza allora in città, quando vennero a contatto con gli ampi settori giovanili che, politicamente, si stavano “tingendo di rosso”.

 

 

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.