La Scuola Operaia continuò ad ospitare corsi biennali di prima qualificazione. Le iscrizioni per il 1973-1974 confermarono l’attrazione che esercitava la specializzazione meccanica, con tre corsi di primo anno. Venne avviato solo un nuovo corso per falegnami, mentre quello per muratori non poté essere finanziato per il modestissimo numero di iscritti. In quell’anno la “Bufalini” ebbe 160 iscritti; raggiunse un picco di 193 in quello successivo, per poi scendere a 150 nel 1975-1976 e attestarsi su una frequenza media di circa 120 allievi.
Il calo di iscrizioni manifestava le prime avvisaglie di quel complesso processo sociale e culturale che avrebbe portato i giovani a preferire sempre più altre scelte di studio rispetto a una formazione professionale mirata al rapido inserimento nel mondo del lavoro. Contestualmente industria e artigianato, incalzate dal rinnovamento tecnologico e dal bisogno di rispondere con duttilità ed efficienza alle sfide del mercato, richiedevano una formazione professionale in maggiore sintonia con le realtà produttive altotiberine nelle quali gli allievi si sarebbero inseriti.
In tale scenario, nel 1977 la “Bufalini” avviò, d’intesa con la Regione, un progetto sperimentale che introduceva radicali innovazioni didattiche: l’“Alternanza scuola-lavoro”. Alla consueta istruzione impartita a scuola, seguiva una prolungata esperienza in azienda. L’entrata degli allievi in azienda sarebbe avvenuta in gruppi di 5-6 unità per un totale di 420 ore distribuite in 14 settimane; all’impegno in fabbrica, dal lunedì al venerdì, sarebbe seguito il sabato, a Scuola, un riesame dell’esperienza svolta in fabbrica. A conclusione del primo biennio di sperimentazione, gli stage ebbero luogo dal gennaio al maggio 1979. Vi presero parte 65 allievi, distribuiti in 27 aziende altotiberine dei settori della meccanica, della falegnameria e dell’edilizia.
L’“Alternanza scuola-lavoro” responsabilizzò sia gli operai e i tecnici delle imprese ospitanti, che si sentivano coinvolti nel processo formativo dei giovani, sia gli allievi, che potevano verificare il loro apprendimento in fabbrica, a stretto contatto con dei potenziali colleghi. Riferì un insegnante: “Gli studenti hanno la possibilità di agire su tutto un ciclo produttivo e quindi l’esperienza ha la massima utilità sul piano della qualificazione. […] Si istaura un rapporto diverso fra lavoratore e studente, anni fa impensabile: i lavoratori collaborano al massimo, spiegando i segreti del mestiere e mantengono un rapporto cameratesco”.
Per la sua efficacia nell’elevare la qualità della preparazione professionale dei giovani allievi e nel prepararne l’inserimento in azienda l’“Alternanza scuola-lavoro”suscitò grande favore. Si trattò di un’esperienza pilota di assoluto rilievo che si poté realizzare nell’Alta Valle del Tevere prima che in altri territori per i proficui rapporti esistenti da decenni tra la Scuola e il mondo produttivo. Del resto molti imprenditori e artigiani provenivano dalla “Bufalini”; e chi non ne era stato allievo aveva avuto modo di apprezzarne tangibilmente la preparazione impartita ai diplomati da essi assunti.
Con la legge 69del 21 ottobre 1981 la Regione Umbria ristrutturò l’intera sistema della formazione professionale. L’“Alternanza scuola-lavoro” divenne punto di riferimento imprescindibile per tutti i centri di formazione professionale.
Il miglioramento dell’offerta formativa permise di mantenere sostanzialmente stabile la frequenza ai corsi della “Bufalini”: negli anni ’70 la media annuale era stata di 71 allievi diplomati; tra il 1980 e il 1985 fu di circa 70.