Gruppo di ferrovieri alla stazione di Città di Castello.
La stazione tifernate; sullo sfondo, Palazzo Vitelli a Sant'Egidio.
Tracciato della ferrovia sul retro di una cartolina pubblicitaria.

La vittoria degli scioperanti

Intanto, dietro le quinte sembrava maturare una ipotesi di intesa. In una riunione presso la direzione della F.A.C., presenti anche Cabrini, Van Overbecke e il consigliere provinciale Ugo Patrizi, venne concordata una ulteriore formulazione della controversa questione dell’organico: “La Società si riserverebbe di cambiare l’organico in ogni tempo per mutate condizioni di servizio, con queste avvertenze: 1) l’impiegato, che per soppressione d’impiego venisse licenziato, dovrebbe esserne preavvisato tre mesi avanti ricevendo un’indennità pari a sei mesi di stipendio; 2) le mutate condizioni di servizio, causa possibile di licenziamento degli impiegati, dovrebbero essere constatate e approvate da una Commissione, composta da una rappresentante della Società Belga, di un rappresentante del personale e presieduta dal pretore locale”.

Su suggerimento di Cabrini, i ferrovieri accettarono tale formulazione. Sembrò quindi che ogni ostacolo fosse rimosso alla soluzione della vertenza e il sindaco Gavasei ne dette notizia al consiglio comunale, ancora riunito. La notizia si sparse in un battibaleno per la città. Ma l’esultanza ebbe breve durata. Quando le due parti si riunirono ancora per stendere il testo ufficiale dell’accordo, Van Overbecke “subordinò l’accettazione dei patti alla ratifica della Società Belga” e, contestualmente, tentò di rimetterli in discussione.

Dinanzi a questo atteggiamento, definito “sleale e provocatorio”, il periodico “Unione popolare” invitò i ferrovieri a conservare quella “calma dignitosa” in virtù della quale avevano conquistato la simpatia della cittadinanza:  “è l’unica arma possibile” – scrisse il periodico – “per sventare le mene di coloro che cercano provocare disordini per conquistarsi quelle ragioni che non hanno”.

La compattezza degli scioperanti in effetti ebbe ragione delle ultime resistenze della società belga, ormai del tutto isolata a livello di opinione pubblica. Lunedì sera 28 ottobre, diciassettesimo giorno dello sciopero, l’intesa fu finalmente raggiunta. Il sindaco tifernate Gavasei si affrettò a telegrafare ai prefetti di Perugia e di Arezzo e ai sindaci dei territori attraversati dalla Ferrovia Appennino Centrale: “Vertenza ferrovieri definitivamente composta. Domani riprendesi servizio treni 4.5”.

I termini dell’accordo li rese noti “Unione popolare”, in un articolo dall’enfatico titolo “La Vittoria”: “[…] riconoscimento dell’organico ai quattro quinti del personale, con la clausola che quello potrà essere cambiato per provate mutate condizioni di servizio; in tal caso l’agente licenziato avrà un preavviso di tre mesi e un’indennità pari ad un anno di stipendio. Andrà in vigore col primo novembre; aumento di L. 60 annue a tutto il personale della manutenzione e a quello del treno; ad altri impiegati e capistazione aumenti di 5 e 10 lire al mese; concessione dell’indennità di pernottamento al personale di treno e macchina; infine parecchie altre concessioni di minore importanza”.

Nel commentare il successo dell’agitazione, il periodico lo definì “non spregevole”, perché “le lotte economiche sono lunghe e complesse e le relative conquiste non possono essere fatte che a gradi”. Quindi ammonì a non sedersi sugli allori:  “Lavoratori! se volete conquistare i vostri diritti, unitevi; ma dopo un miglioramento ottenuto, non sbandatevi […] ; perché quello che avete ottenuto oggi, lo perdereste domani”.

Lo sciopero dei ferrovieri ebbe pochi strascichi. L’unica “vittima”, nei ricordi dei socialisti, fu uno di essi, il tifernate Silvio Corbucci, trasferito ad Arezzo forse con intenti punitivi. Siccome lo stipendio non gli bastava più per vivere, l’intraprendente Corbucci cambiò mestiere: mise su un’edicola di giornali in “piazza di sopra” e avviò l’attività di assicuratore, conquistando in breve tempo una agiata posizione sociale. La reazione colpì invece con una certa durezza alcuni cittadini, per lo più giovani, che se l’erano presa contro i “krumiri”. “Unione popolare” ammise che si era trattato di “manifestazioni ostili non sempre corrette, a dir vero, e non tutte platoniche”, tanto che “ci furono fischi, invettive, e volò anche un sasso, scagliato da mano ignota…”. Nei due processi che seguirono, il pretore condannò tutti al massimo della pena, una pesante multa e la reclusione fino a due mesi. La sentenza, a dire del periodico, “parve a tutti eccessiva”

Ben più significative si sarebbero mostrate le conseguenze di natura politica e sindacale. Con la sua vittoria, e mantenendosi ancora per anni attiva e autorevole, la Lega dei Ferrovieri indicò la strada da percorrere alle altre categorie di lavoratori. Nel giro di poco tempo le più importanti si dettero una valida organizzazione: i tipografi nella Federazione del Libro, i muratori e manovali nella Emancipatrice Muraria, i mezzadri in varie leghe territoriali e infine nella Federazione Contadini dell’Alta Valle del Tevere.