L’estate del 1919 fu segnata dalle agitazioni popolari per il caroviveri e dalla grande mobilitazione dei mezzadri per il rinnovo del patto colonico. Intanto i partiti affilavano le armi per l’imminente campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento. Fu in questo contesto che Pierangeli, insieme ad altri ex combattenti, dette vita al periodico “La via maestra”. Il settimanale, dal sottotitolo “Periodico per gli interessi del medio Appennino”, uscì per la prima volta il 24 agosto. Si propose come punto di riferimento di quanti auspicavano riforme coraggiose, ma deprecavano il disordine sociale e non si riconoscevano nei partiti tradizionali e nel sistema politico del tempo. Prestò grande attenzione ai temi economici e non esitò a criticare con forza la borghesia assenteista e speculatrice e a denunciare i freni frapposti allo sviluppo dal centralismo statale, dallo strapotere della burocrazia e dagli atteggiamenti demagogici dei partiti. Inoltre si interessò ad altre questioni care a Pierangeli: le scuole professionali, l’assistenza, il mutuo soccorso, le infrastrutture, il problema degli alloggi.
All’approssimarsi delle elezioni del novembre 1919 l’avvocato tifernate intensificò la collaborazione con il periodico. Sono suoi due articoli sulla situazione in Russia e l’ultimo redazionale prima dell’appuntamento elettorale. Da un lato mettevano in guardia contro la demagogia rivoluzionaria, facendo appello al raziocinio, “alla ragione ragionante”, e dunque “alle minoranze intelligenti, desiderose di cultura e di equilibrio, disposte al sacrificio e alla opera di elevamento morale intellettuale e tecnico: alle minoranze che saranno sempre la guida dell’umanità”. Dall’altro lato proponevano una radicale riforma del sistema politico-elettorale, sostituendo il Parlamento con un “consiglio del lavoro”, nel quale sedessero “rappresentanze sindacali di classe, padronali e operaie”. Nel chiedere il superamento del ruolo del Parlamento, Pierangeli si faceva interprete dell’esigenza di nuovi e più efficaci ordinamenti che, emersa nel clima di rinnovamento dell’immediato dopoguerra, trovava ampio sostegno in ambienti combattentistici ed era vagheggiata da uomini politici e sindacalisti di vario orientamento. Nel contempo prospettava tali radicali mutamenti istituzionali nell’ambito di una più ampia concezione federalista, di impronta proudhoniana, che in quegli anni avrebbe proposto con energia.
“La via maestra” appoggiò una lista capeggiata da Muzio Mochen, un ex socialista che aveva lasciato il partito quando la militanza in esso era diventata incompatibile con l’appartenenza alla massoneria.
L’accesa campagna elettorale vide trionfare i socialisti. […]
Pierangeli continuò a farsi portavoce di un percorso riformista alternativo, di cui delineò i punti programmatici: l’integrazione di “rappresentanze di classe” nel parlamento e nei consigli degli enti locali; il decentramento con indirizzo federalista; la valorizzazione delle piccole imprese; l’incremento dell’istruzione elementare e professionale, facendo diventare le scuole centri di cultura permanente; la lotta contro lo sfruttamento delle risorse pubbliche da parte dei ceti privilegiati e contro gli immorali arricchimenti in epoche di crisi sociali.
Con tali intendimenti, il gruppo de “La via maestra” estese i contatti dall’Alta Valle del Tevere umbro-toscana al resto della provincia, costituì una redazione anche a Perugia, cambiò la denominazione del periodico in “Il Rinnovamento” e vagheggiò la costituzione di un nuovo partito.
Pierangeli mantenne un ruolo di primo piano. Fu soprattutto lui a dare voce alle grandi battaglie portate avanti da “Il Rinnovamento” nella primavera del 1920. Criticò aspramente quella burocrazia che più moltiplicava le sue funzioni improduttive, più diventava avida; che induceva nei cittadini una mentalità parassitaria e il desiderio di un lavoro sicuro, tranquillo e ben tutelato, invece di stimolare lo spirito imprenditoriale; che si sostentava opprimendo fiscalmente i contribuenti attraverso una “congerie di imposte e di tasse”. Inoltre identificò nell’accentramento statale, nell’uniformità legislativa di un’Italia costituita da aree troppo diverse e nel conseguente complesso meccanismo burocratico e parassitario la “cappa di piombo” che soffocava lo sviluppo della Nazione. Di qui la necessità di uno sbocco federalista, che ridesse vigore alle forze produttive e “sovranità al Comune e alle libere Federazioni dei Comuni”.
Sunto, senza note, tratto da A. Tacchini, Giulio Pierangeli: l’uomo e il politico, in Giulio Pierangeli. Scritti politici e cronache di guerra, a cura di A. Lignani e A. Tacchini, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, 2003.