Con un manifesto datato 20 giugno 1866, re Vittorio Emanuele II annunciò agli italiani l’entrata in guerra contro l’Austria. L’alleata Prussia aveva da poco iniziato le ostilità ed ora spettava all’Italia attaccare l’Austria sul suo fronte meridionale. Ma il breve conflitto non ebbe affatto lo sviluppo trionfale in cui gli italiani speravano. Appena quattro giorni dopo il manifesto del re, l’esercito italiano veniva sconfitto a Custoza. A sollevare le sorti dell’alleanza ci pensarono i prussiani, con una decisiva vittoria a Sadowa il 3 luglio. Con l’Austria in difficoltà, l’Italia tornò all’offensiva per legittimare quell’annessione del Veneto che era stata pattuita negli accordi con la Prussia. Mentre il gen. Cialdini riusciva a conquistare Udine, i volontari di Garibaldi giungevano a un passo da Trento. Ma la disfatta nella battaglia navale di Lissa, il 20 luglio, rappresentò un duro colpo soprattutto al prestigio internazionale del Paese.
Appena parve delinearsi la sospensione delle ostilità, il sindaco tifernate lanciò un pubblico appello al re che non riusciva a dissimulare la delusione per l’esito del conflitto: “Il presentimento che una pacificazione, per quanto onorevole, possa gettare la Nazione nell’avvilimento; il timore che ci si voglia contrastare il possesso di terre italiane che avevamo il dovere e il diritto di conquistare ci sconforta e ci lascia trepidanti nella dubbiezza che per mezzo della pace non ci sia dato di ottenere la nostra completa indipendenza”. Meglio continuare a combattere – affermò Tommasini Mattiucci – che “lasciare un solo italiano avvinto dalle catene della prepotenza austriaca”.
Il 13 agosto il prefetto trasmise ai sindaci un dispaccio del presidente del consiglio dei ministri che annunciava la firma dell’armistizio e l’inizio di difficili negoziati per una pace che si voleva “onorata e conveniente al paese”. Consapevole della diffusa amarezza, chiese fiducia nell’azione del governo e ammonì: “Le polemiche aspre, le recriminazioni inopportune, sarebbero prova di debolezza interna che profiterebbe ai nemici di ogni maniera [e] turberebbe l’azione del Governo […]”.
Il clima si sarebbe poi rasserenato, quando divenne realtà la cessione all’Italia di Mantova e del Veneto. Il 3 novembre il sindaco poté dar voce all’esultanza cittadina per “il voto unanime ed entusiastico delle Provincie Venete per l’unione al Regno d’Italia liberamente espresso nei memorabili giorni 21 e 22 dello scorso mesi di ottobre”.
In quella guerra furono insigniti di medaglia d’argento al valor militare due tifernati: il “cannoniere” Filippo Guidobaldi e il bersagliere Agostino Gianfranceschi, che si distinse nella battaglia di Custoza.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).