Tra le figure emergenti della democrazia tifernate vi era Giulio Pierangeli. Nelle elezioni sociali del maggio 1909 i socialisti e i repubblicani ripresero il controllo di una importante istituzione tifernate, la Società Patriottica degli Operai, e posero alla presidenza questo giovane avvocato socialista.
Dall’inizio del Novecento, la pressione dei soci socialisti e repubblicani stava spingendo la Società Operaia ad interessarsi maggiormente di questioni sociali come la cooperazione, la tutela dell’emigrazione, l’arbitrato nei conflitti di lavoro, la costruzione di case dignitose per i lavoratori e l’istruzione professionale. Tornando alla guida dell’associazione, socialisti e repubblicani si posero l’obbiettivo di istituire in breve tempo una scuola per l’aggiornamento professionale dei lavoratori.
In effetti stavano maturando i presupposti per dare concretezza a un’aspirazione sempre più condivisa. Era impensabile riproporre la preesistente Scuola di Disegno e Plastica. Sebbene a suo tempo utile, veniva ormai considerata una “larva di scuola, organizzata e diretta con procedimenti patriarcali ed empirici”. Nel 1906 l’ingegnare tifernate Vincenzo Gualterotti, direttore delle Officine Meccaniche e Fonderie Cooperative, dovette effettuare un corso di aggiornamento per i suoi operai. In città, disse, mancava “personale operaio tecnico capace di condurre le macchine, di interpretare i disegni e di lavorare da sé, senza guida e aiuto di capi, nonché munito di quelle cognizioni di meccanica e di calcolo indispensabili, per una moderna lavorazione, a qualunque operaio”.
Proprio Gualterotti guidò la commissione incaricata dalla Società Operaia di delineare il progetto della Scuola. Suggerì innanzitutto di porsi come fine l’aggiornamento dei giovani operai e apprendisti già impiegati nelle botteghe e nelle industrie. Merita riproporre le considerazioni che, secondo la commissione, imponevano di porre mano a una Scuola Operaia: “Chiunque sia vissuto, anche per poco tempo, in mezzo ai nostri operai constata che, mentre son capaci di eseguire bene tutti i lavori che, per la diuturna loro ripetizione, richiedono la sola cieca pratica, si smarriscono e s’imbrogliano ogni volta che il lavoro da eseguire sia così nuovo o diverso da richiedere il sussidio delle macchine, di quattro segni di croce sulla carta, o di due cifre di conto. Gli è che i nostri operai erano ieri, o son tutt’ora, nella bottega dove non capita mai nulla di tutto ciò, che viceversa è quotidiano, normale nell’industria moderna”. Ma ormai era tempo di preparare una nuova generazione di operai per uno sviluppo industriale che si percepiva prossimo.
Il 22 giugno Giulio Pierangeli lanciò un appello agli enti e alle associazioni tifernati perché contribuissero tangibilmente per aprire la Scuola entro l’anno. L’appello non cadde nel vuoto. Il Municipio concesse un contributo annuale di L. 1.000, la Cassa di Risparmio di L. 500 (“la Scuola riempie una lacuna nel nostro paese”, ammise il presidente Giuseppe Corsi), la Camera di Commercio di L. 1.200, il Ministero di L. 700, la Deputazione Provinciale di L. 200. I fondi raccolti, insieme al contributo della stessa Società Operaia, permisero di avere a bilancio per il primo anno risorse finanziarie sufficienti, per quando modeste, affinché la Scuola Operaia non fosse più soltanto un sogno.