Antenata della “Bufalini” fu la Scuola di Disegno e Plastica. La propose nel 1838 il sacerdote GioBatta Rigucci per risollevare le sorti di un artigianato i cui operatori “procedevano a caso, e grossolanamente”. Ebbe come primo insegnante Vincenzo Barboni, pittore che vi si dedicò con passione, ben oltre i limiti dell’incarico ricevuto dal Municipio: “[…] scendeva nell’ore più libere alle loro officine a fare che mettessero in pratica nei lavori le norme raccomandate, e stessero nel buono stile: e insegnavagli, dandogli talora egli mano, a lavorar di commesso e d’intaglio, fino al maneggiar le sgorbie, calzare i scalpelli, girar le raspe, e mettere in uso tutti quegl’argomenti onde si giovano le arti fabbrili”. La dedizione di Barboni produsse risultati tangibili e la città ebbe modo di apprezzare il perfezionamento tecnico di diversi suoi ebanisti, intagliatori, scalpellini, decoratori e fabbri.
Barboni morì nel 1859. Malato da tempo, era stato sostituito nell’insegnamento dall’ex allievo Domenico Lambardi. Nella ristrutturazione del sistema scolastico avvenuta con l’Unità italiana, si pensò di aggregare la Scuola di Plastica alla Scuola Tecnica. In tal modo, però, la frequentavano sono giovani studenti al mattino e veniva meno il suo ruolo di iniziativa serale per l’aggiornamento degli artigiani.
A riproporre l’istituzione di una “scuola libera per operai” fu l’associazionismo di mutuo soccorso tifernate. Ottenne in un primo momento l’apertura di un corso domenicale di disegno, poi, nel 1881, il ripristino della Scuola di Plastica. Vi insegnarono Domenico Mancini – professore di disegno che sarebbe stato tra i promotori della Scuola Operaia – e Filippo Muscini, “modellatore di creta e distinto stuccatore, con gusto squisito nel disegno ornamentale e più specialmente in quello architettonico”. Trovò sede nell’ex convento di Sant’Antonio, dove si sarebbe sistemata la Scuola Operaia nei suoi primi 40 anni di vita.
Frequentata assiduamente dagli artigiani che ambivano a perfezionarsi e da giovani di ceto operaio che non avevano i mezzi per continuare gli studi, la Scuola di Plastica sopravvisse soprattutto per il caloroso sostegno morale di cui la gratificarono i tifernati che maggiormente avevano a cuore le sorti della città. Era aperta il giovedì sera e la domenica mattina.
Anche Muscini lasciò una traccia profonda nell’artigianato cittadino: “Andava nelle diverse botteghe de’ suoi scolari a dar suggerimenti, consigli ed anche disegni per l’esercizio della loro professione ed era talmente benvoluto che solevano chiamarlo il ‘loro babbo’”. Furono suoi allievi anche i futuri insegnanti e istruttori della “Bufalini” Bernardo Andreoni, Romolo Bartolini e Nazzareno Giorgi. E gli fu vicino un altro sostenitore della Scuola Operaia, lo scultore Elmo Palazzi, i cui primi rudimenti li aveva appresi proprio nella Scuola di Plastica.
La soppressione della Scuola da parte del Comune nel 1907 suscitò aspre critiche, alle quali rimase insensibile il sindaco di allora, il conservatore Francesco Bruni. Ma proprio la consapevolezza che la città non poteva rinunciare a un istituto che accompagnasse la crescita tecnica e artistica del mondo produttivo avrebbe alimentato la spinta per la fondazione della Scuola Operaia.