L’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, lo indusse a prendere una posizione netta, per quanto sofferta: bisognava sostenere lo sforzo bellico italiano fino alla Vittoria e al compimento del sogno risorgimentale, pur mantenendo le riserve nei confronti della monarchia e della borghesia.
A Città di Castello si costituì subito, su iniziativa della Croce Rossa Italiana, un Comitato di Assistenza alle Famiglie dei Combattenti e di Preparazione Civile. Pierangeli, chiamato a ricoprire il ruolo di segretario, offrì un tangibile contributo al moto di generale solidarietà verso le centinaia di uomini che partivano per il fronte e le loro famiglie. La cosa non piacque ai dirigenti socialisti locali.
La spaccatura divenne insanabile. Il 28 giugno il segretario del P.S.I. tifernate, Aspromonte Bucchi, comunicò al “dissidente” il testo dell’ordine del giorno votato dalla sezione del partito: “La sezione, constatato che il dott. Giulio Pierangeli è da qualche tempo in evidente contrasto con le direttive del partito e con la maggioranza dei suoi iscritti; lette le sue dichiarazioni, ne delibera la radiazione”. E non finì lì. Nel dicembre del 1915 “La Rivendicazione” inveì ulteriormente contro quei socialisti che, “abusando della loro cultura e della loro esperienza”, avevano portato nel movimento solo “l’influenza e la volontà loro personale o, peggio ancora, quella di sette segrete alle quali appartenevano”, sospingendo il partito verso posizioni conservatrici per poi, una volta dimessisi o espulsi, schierarsi con gli avversari.
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Giunse infine anche per Pierangeli il momento dell’arruolamento, che lasciò uno strascico di amare polemiche. Benché a suo tempo “riformato per grave deperimento organico”, nell’agosto del 1916 fu chiamato alle armi e aggregato al 22° reggimento fanteria di Pisa. “La Rivendicazione” non perse tempo per compiacersi della partenza del “signor dottore Giulio Pierangeli […] ex socialista e guerraiolo sfegatato”; lo accusò di aver “tentato di imboscarsi”, sfruttando le conoscenze massoniche e l’appoggio dell’amministrazione dell’ospedale per chiedere l’esonero dal servizio militare. “Il Dovere” smentì le insinuazioni del periodico socialista (“tutti sanno che egli desiderasse partire”) e si dispiacque della “pugnalata alla schiena” inferta dagli ex compagni a un uomo il quale, ormai arruolato, non poteva difendersi personalmente.
Pierangeli non si sottrasse alla guerra. Divenne sottufficiale e combatté al fronte. Le polemiche in città si sopirono e, per il resto del conflitto, le cronache locali riferirono solo della sua nomina a sottotenente e dei suoi trasferimenti.
Sunto, senza note, tratto da A. Tacchini, Giulio Pierangeli: l’uomo e il politico, in Giulio Pierangeli. Scritti politici e cronache di guerra, a cura di A. Lignani e A. Tacchini, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, 2003.