All’inizio del 1911 Gabriotti raccoglieva ancora palpabili soddisfazioni a Faenza. Nulla lasciava presagire le spiacevoli vicende che stavano per scuotere la sua vita.
La rottura tra Gabriotti ed i dirigenti cattolici romagnoli si consumò con una lunghissima polemica, caratterizzata da continui colpi di scena e sfociata in un processo nell’aprile del 1913. L’asprezza dei toni e le strumentalizzazioni politiche alimentate dal duro scontro tra i periodici faentini di opposte tendenze rendono difficile la ricostruzione dei fatti, così che alcuni aspetti della controversia restano oscuri.
Gabriotti avrebbe fatto risalire all’agosto del 1910 il manifestarsi delle prime incomprensioni con i suoi dirigenti. Il 31 marzo si dimise da segretario dell’Unione Agricola e consegnò al conte Carlo Zucchini una lettera nella quale esponeva le ragioni del dissenso. Iniziò subito una forte pressione perché egli si dimettesse anche dalla segreteria della federazione delle Casse Rurali. Gabriotti non cedette e sostenne che la rivendicazione di spazi di autonomia per la federazione.
Il braccio di ferro si concluse a giugno con il suo licenziamento. Gabriotti non accettò il provvedimento e sostenne che la lotta contro di lui era stata “impostata su ragioni di modernismo, alla scopo di fare impressione sull’autorità ecclesiastica locale,” e su ragioni politiche, “temendo le associazioni cattoliche” – disse – “che in circostanze elettorali potessi assumere un atteggiamento diverso da quello che i capi credessero di sostenere”.
Quali fossero le contestazioni di carattere politico mosse a Gabriotti è difficile stabilire con certezza. A Faenza operava un attivo gruppo di democratici cristiani, raccolti nella Lega Democratica Nazionale. Gabriotti nutriva chiare simpatie per le idee democratico-cristiane e non si può escludere che contasse amici anche tra gli aderenti locali alla Lega.
Dopo aver lasciato Faenza, e nel pieno delle laceranti polemiche che seguirono e che lo prostrarono psicologicamente, Gabriotti aveva incontrato a Montecatini il marchese Ugo Patrizi, che lo conosceva da ragazzo e lo stimava. Il parlamentare radicale, vistoselo innanzi “febbricitante ed in uno stato psicologico veramente compassionevole”, gli aveva espresso la propria solidarietà e poi, “quando la salute e le condizioni economiche lo abbatterono”, gli aveva procurato a Roma “un posto onorifico e di fiducia”. Il nuovo lavoro contribuì a ridare tranquillità a Gabriotti, che trovò presto modo di ritemprarsi con un “bagno di…idealismo nella sua verde e spirituale Umbria”.
Il processo per il “caso Gabriotti” si celebrò a Ravenna il 9 aprile del 1913. Per l’occasione “Il Socialista” ed “Il Piccolo” ripresero a polemizzare violentemente ed i loro resoconti non paiono del tutto attendibili. Gabriotti fu assolto “per non provata reità” dall’accusa di sottrazione di documenti; il giudice accolse la tesi difensiva che solo trattenendoli poteva difendersi dagli attacchi mossigli.
L’estratto è una breve sintesi del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore 1993).