All’assemblea dei soci del 7 giugno 1945 presenziarono 170 soci su 463. La Fattoria era dunque un organismo imponente, con un rilievo sociale sottolineato dai livelli occupazionali che garantiva: nella lavorazione del prodotto 1944 occupò 700 tabacchine e circa 130 operai.
Il 1945 fu un anno delicato, per una produzione inferiore alle attese e per il considerevole aumento del costo della mano d’opera. Tuttavia lo sviluppo riprese immediatamente, tanto da raggiungere, nel 1947, 17.273 quintali di Bright e 11.377 di Kentucky. Proprio la lievitazione della produzione ripropose l’inevitabilità di costruire nuovi locali. In precedenza la Fattoria aveva seguito la politica di accantonare prima le risorse finanziarie necessarie, per poi procedere all’investimento; per la prima volta, nel 1946, dovette ricorrere a un mutuo. Tuttavia la solidità dello stato patrimoniale spazzò ogni dubbio e, in effetti, le spese sarebbero state ammortizzate in brevissimo tempo.
Nell’agosto del 1946, certi che la Fattoria aveva “ripreso la piena efficienza” e viveva “una situazione di calma assoluta”, Rossi e Della Porta presentarono le dimissioni per ragioni di salute e di età; il momento appariva propizio per favorire il ricambio dirigenziale. Manifestò l’intenzione di lasciare anche Garinei, sul quale gravavano i rapporti con una maestranza che si stava sempre più sindacalizzando e le costanti pressioni istituzionali e politiche per nuove assunzioni. Garinei ammise che, a fronte di tali sfide, gli amministratori della Fattoria si erano mostrati “sempre arrendevoli”, mentre necessitavano “direttive più ferme e più energiche”.
La questione del personale si stava facendo critica. Allora si contavano 781 dipendenti, un numero considerato già di per sé “esuberantissimo”; nuove assunzioni avrebbero impedito di perseguire l’obbiettivo, di comune interesse per azienda e maestranze, di ridurre il periodo della disoccupazione stagionale. Ma in un contesto sociale di grave disoccupazione, il Comune, i sindacati, i partiti e le associazioni dei reduci di guerra supplicavano costantemente di assumere qualcuno, anche per prevenire seri problemi di ordine pubblico. Proprio nel 1946 la Fattoria accettò di dar lavoro a 40 operai e 2 impiegati reduci di guerra; gli stessi dipendenti dell’azienda devolsero cinque minuti di paga al giorno per rendere possibile l’assunzione di sette reduci. Tuttavia le pressioni non cessarono. Due anni dopo, definendo “grave” il problema dell’esubero di mano d’opera nel magazzino (dove mancavano persino i “banchi di lavoro” per altre tabacchine), l’azienda avrebbe deciso un blocco totale delle assunzioni e del turn-over.
In quel frangente, le accorate insistenze dei soci convinsero i procuratori e Garinei a restare al loro posto. Si concordò comunque di affiancare ad essi un aiuto-procuratore. Il 7 novembre 1946 l’assemblea attribuì l’incarico al proprietario terriero Sante Santinelli, presidente della sezione tifernate dell’Associazione Agricoltori. Rappresentava l’ala più conservatrice dei soci della Fattoria; persino i democristiani lamentarono l'”animosità reazionaria e conservatrice eccessiva” che stava prendendo piede tra i proprietari terrieri.
Proprio allora riemergevano spinte per una revisione statutaria che prefigurasse una rappresentanza delle maestranze e dei mezzadri negli organismi gestionali della Fattoria. Se ne fecero portavoce il democristiano Guido Meroni, nell’assemblea dei soci, e la Federterra, organizzazione sindacale social-comunista dei mezzadri. Il gruppo dirigente dell’azienda fu concorde nel ritenere “inopportuna” qualsiasi riforma dello statuto.