Salone di lavorazione in uno dei capannoni di Rignaldello.
Montaggio di teli di garza per la coltivazione del subtropicale (1964).
La produzione di tabacco negli anni ’60
L’espansione della coltura del tabacco sub-tropicale rimase quindi a lungo la più efficace prospettiva per garantire occupazione al maggior numero possibile di dipendenti. La Fattoria avrebbe pure osato estendere la coltura del Bright, come si soleva dire, “a proprio rischio e pericolo e solo in funzione dell’esportazione”, ma il Monopolio non dette l’autorizzazione. Fortunatamente il livello di qualità raggiunto dai sub-tropicali altotiberini fu tale che le vendite all’asta dei prodotti dei primi anni ’60 ebbero un esito lusinghiero. La coltura arrivò a coprire la superficie di 97 ettari nel 1965 e si ritenne opportuno procedere a un ulteriore ampliamento dei giganteschi impianti di Rignaldello.
I sub-tropicali sembravano dunque garantire un futuro roseo, nonostante le avversità atmosferiche che nel 1962, 1963 e, soprattutto, 1965 pregiudicarono parte del raccolto. Invece l’imprevedibile tracollo dei prezzi nel 1966, determinato da vicende interne all’Indonesia, mise in crisi la coltura e indusse persino a deciderne la sospensione per la campagna 1967, quando si introdusse a parziale sostituzione la coltivazione del tabacco Burley. Riemerse così l’ostilità di alcuni soci alla produzione di sub-tropicali, non sopita dalle assicurazioni di Donadoni, che quantificò in 406 milioni i profitti da essa forniti nel quinquennio 1960-1964 e in 300-350 le operaie che era stato possibile trasferire a Rignaldello. Le rimanenze delle campagne 1965 e 1966, i deludenti risultati del 1968 a causa dal maltempo e le incertezze del mercato internazionale costrinsero infine a un deciso ridimensionamento della coltura, che a fine decennio copriva solo una ventina di ettari.
La produzione tradizionale di Bright e Kentucky (anche se tale varietà nel 1965 finì con il ridursi a 26 ettari) ebbe risultati molto positivi nella prima metà del decennio. La sistematica lotta alla peronospora nei semenzai e l’adozione di linee più resistenti permisero di ridurre al minimo i danni di nuovi attacchi della malattia, che periodicamente riapparve fino al 1967. Il fatto che per la prima volta, con il prodotto 1966, il Bright desse luogo a una perdita fu quindi una doccia fredda. La Fattoria però non scaricò le responsabilità solo sulla penalizzante politica tariffaria adottata dal Monopolio; comprese che la qualità del tabacco altotiberino era peggiorata negli ultimi anni. Il presidente Amedeo Corsi non esitò a mettere il dito nella piaga: “Le pratiche colturali non sono più eseguite con la cura di un tempo e le linee incrociate non danno i tessuti gentili delle linee indigene. Occorre ritornare all’antico e dedicare alle colture tutte quelle attenzioni e tutte quelle premure che un tempo erano il patrimonio più cospicuo della Fattoria e che facevano dei prodotti della Fattoria un prodotto ricercato dai fabbricanti stranieri. Non si può dimenticare che il Monopolio esportava per intero il prodotto della Fattoria in Inghilterra che è il mercato più esigente del mondo. Se saremo capaci di aver prodotti pari in qualità a quelli di un tempo i soci della Fattoria non avranno di che temere dalla liberalizzazione”. Corsi faceva riferimento alla nuova disciplina della produzione e commercializzazione del tabacco nell’area della Comunità Economica Europea, che doveva porre fine ai monopoli nazionali e che la Fattoria auspicava da tempo; nuovo scenario che sarebbe diventato realtà con l’entrata in vigore del regolamento comunitario n. 727 del 21 aprile 1970 e della promulgazione della legge n. 3 del 27 gennaio 1971.