Nel secondo decennio del secolo si diramò una rete di aziende tipografiche che, consolidatasi in epoca fascista, sarebbe rimasta immutata fino agli anni Cinquanta: oltre alla “Grifani-Donati”, la “Lapi” (rilevata nel 1915 dalla Società Editrice “Dante Alighieri” di Albrighi e Segati), l'”Unione Arti Grafiche”, la “Leonardo da Vinci”, la “Sacro Cuore”, la Litografia Hartmann. La Mostra del Libro allestita nel 1916 servì a fare il punto sul promettente sviluppo del settore, che già contava oltre 300 addetti. Molte erano le donne, impiegate soprattutto come compositrici e “mettifoglio”. Gli intellettuali tifernati guardavano con orgoglio alle tipografie: “Ognun vede come la industria principale di nostra gente specialmente urbana, debba essere la produzione del libro, il più tecnicamente perfetto, il più economicamente accessibile“.
Mentre le tipografie maggiori tifernati si muovevano nel mercato nazionale per acquisire le cospicue commesse necessarie a sostenerne la mole e le ambizioni, la “Grifani-Donati” trovò infine la sua giusta dimensione, di fatto specializzandosi nel lavoro commerciale e per gli enti locali. Ernesto Grifani e la moglie Leonida si dedicarono quindi a una produzione precipuamente commerciale, per la quale non avevano da temere pericolosa concorrenza locale. I loro inserti pubblicitari elencano al dettaglio le lavorazioni offerte al pubblico: ricevute, buoni di consegna, “bollettari a madre e figlia”, libri di carico e scarico, “fogli di somministrazioni di magazzino”, registri per amministrazioni, “comparse conclusionali”, “mastri americani”, libretti colonici e di compravendita di bestiame, apoche coloniche, diari e modelli scolastici, partecipazioni di nascite, matrimoni e morte, moduli per infortuni.
Naturalmente la “Grifani-Donati” non si limitò a tal genere di lavorazioni, benché fossero le più convenienti. Si legge ne “La Bozza”: “[…] senza pretendere alla produzione di opere gigantesche, dà lavoro di carattere commerciale di squisita proprietà da gareggiare dignitosamente con tipografie italiane della miglior fama; e può montare un volumetto e lanciare un fascicolo in maniera da richiamare le tradizioni più distinte dell’arte della stampa”.
I Grifani misero dunque volentieri mano alla stampa di quegli opuscoli e periodici che istituti e associazioni di tanto in tanto ordinavano. Dal 1904 alla Grande Guerra produssero “Età novella”, l’elegante ricordo annuale degli allievi del Collegio Serafini. Per sei anni, fino al 1909, la tipografia stampò “L’Alto Tevere”, periodico di proprietà dei liberali monarchici e quindi del loro leader indiscusso Leopoldo Franchetti. Nel 1912 prese l’avvio il periodico religioso “La Cieca della Metola”. Nel 1913 vide la luce il periodico culturale “Plinio il Giovane”: la “Grifani-Donati” ne rilevò la stampa dall'”Unione Arti Grafiche”, che aveva curato i primi due numeri. Inoltre, tra il 1912 e il 1913 l’astro nascente locale, il radicale Ugo Patrizi, affidò alla “Grifani-Donati” la stampa del suo giornale “Corriere Tiberino”.
L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).