Ingresso di reparti alleati a Città di Castello (foto Imperial War Museum).
Il "Corriere Alleato" da notizia della liberazione di Città di Castello.
La manovra della X Divisione per conquistare Città di Castello.
Le bandiere britannica e americana all'ingresso del Palazzo Comunale (foto Imperial War Museum).
Immagini delle zone dei combattimenti sul crinale a nord del torrente Soara.

La liberazione di Città di Castello

La morsa su Città di Castello si era ormai stretta. L’assalto finale richiese però una attenta pianificazione. Avanzare lungo la valle, da Santa Lucia verso la città, era troppo rischioso: “Saremmo stati sicuramente massacrati su per la strada principale”, pensava il colonnello Richard Heseltine, comandante dello squadrone A degli Hussars. Fu proprio lui a premere sul comandante del 3° King’s Own Hussars, il tenente colonnello Peter Farquhar, affinché prendesse in considerazione la possibilità di attaccare nella valle del torrente Soara, trovando un punto dove i mezzi corazzati potessero risalire le colline in direzione di Città di Castello. Ciò avrebbe permesso di cogliere di sorpresa i tedeschi, che consideravano troppo scoscesi per i carri armati i pendii di quella valle e si attendevano l’offensiva nemica alla confluenza tra il Soara e il Tevere.

Attenti sopralluoghi dal crinale opposto e la ricognizione aerea permisero di individuare il percorso, comunque ardito, lungo il quale gli Hussars avrebbero potuto risalire dal Soara e raggiungere la sommità del colle. Il piano si fondava sulla capacità degli Sherman dello squadrone A di attestarsi su quel crinale e di aprire una testa di ponte per far avanzare lo squadrone B; raggiunto l’obbiettivo, si sarebbero poi schierati a ventaglio in posizione dominante sulle colline a oriente di Città di Castello. I britannici denominarono in codice “Eggs and bacon” (“Uova con la pancetta”) la casa colonica più in vista sul crinale meridionale, nelle loro mani, e “Tea and coffee” quella sul lato settentrionale, dalla parte tedesca: nomi che finirono con l’identificare i due crinali. In previsione dell’offensiva, furono distribuite a tutti i militari razioni di cibo per due giorni.

La notte dal 20 al 21 luglio 1944, con un duro lavoro nella valle del Soara, i genieri della 10a Indian Divisional Engineers crearono le condizioni per l’attacco: “Nonostante il pesante tiro nemico di granate e di mortai, rimossero tutte le mine e completarono un attraversamento sul fiume durante le ore di oscurità”.

Quando cominciò a farsi giorno il colonnello Heseltine e il maggiore Marcus Linton, comandante del Chestnut Troop Royal Horse Artillery, di supporto agli Hussars, erano su “Eggs and bacon” per meglio indirizzare il tiro dei cannoni su “Tea and Coffee”. Il bombardamento, definito dai britannici “spasmodico, ma pesante”, sarebbe durato fino al tardo pomeriggio, per tutta la durata della battaglia.

Sotto questa copertura di artiglieria, all’alba lo squadrone A degli Hussars guadò il Soara, si portò un po’ a est e raggiunse il luogo prescelto per inerpicarsi con gli Sherman. Lo comandava Geoff MacDiarmid, il vice di Heseltine, che avrebbe raccontato la “meravigliosa performance” del tenente Rex Frankel: “Rex riuscì a risalire l’altura, ma solo camminando coraggiosamente all’indietro davanti al suo carro armato, indicando il percorso al guidatore con segnali manuali. […] Il nemico fu così preso di sorpresa e lì per lì si dette alla fuga. Tutto lo Squadrone A raggiunse la sommità e si posizionò a ventaglio senza perdite”. L’azione dello squadrone si era dispiegata in circa due ore nel massimo silenzio possibile, evitando di far fuoco per non svelare la posizione al nemico.

Intorno alle 11 anche lo squadrone B del maggiore Eveleigh, già bombardato in precedenza mentre guadava il Soara, s’arrampicò verso il crinale lungo il percorso tracciato dallo squadrone A. Fu a quel punto che un cannone anticarro tedesco, la cui squadra era fuggita durante il primo attacco ma poi aveva ripreso la posizione, fece fuoco sui primi Sherman della colonna. Vennero colpiti a morte il tenente Brian Ward, che si stava sporgendo dalla torretta, e il suo cannoniere, mentre cercava di estrarre il corpo di Ward. Pochi minuti dopo i britannici misero fuori combattimento l’appostamento anticarro nemico.

Con gli Sherman ormai in posizione sul crinale, la difesa germanica entrò in crisi. Si legge nei resoconti britannici: “Il fuoco dei carri e dell’artiglieria portò lo scompiglio tra i soldati tedeschi, i quali, disorientati, abbandonarono le trincee e fuggirono verso il bosco, per poi tornare disordinatamente sui loro passi”. I tedeschi non ebbero così modo di approfittare della situazione di precarietà in cui si trovavano gli stessi mezzi corazzati britannici, che rischiavano di restare allo scoperto per la lentezza dell’avanzata della fanteria.

Ancora alle ore 14 la resistenza tedesca era forte dal vocabolo Chiausini e impediva di salire sulla Goffara, che con i suoi 505 metri d’altitudine costituiva l’ultimo baluardo nemico a difesa di Città di Castello. Ma da quel momento, per tutto il pomeriggio, i carri armati britannici distrussero a una a una le postazioni germaniche. Quando ne individuarono una in un bosco vicino, vi indirizzarono un fuoco di mitragliatrici così pesante che l’indomani vi trovarono i corpi di una trentina di uomini.

Infine, verso le 18, la Goffara cadde in mano anglo-indiana. Mentre i fanti del King’s Own Royal Regiment consolidavano la posizione, fu mortalmente ferito il maggiore Marcus Linton, che raggiungeva quell’altura per meglio dirigere il tiro di artiglieria della sua Chestnut Troop.

Il Diario di guerra della X Armata tedesca annotò laconicamente l’insuccesso patito in tale tratto di fronte: “Ad est del Tevere il nemico riesce a raggiungere verso sera, nonostante il nostro contrattacco, un’altura a 2 km a est di Città di Castello”. In un altro rapporto si legge: […] nel settore di Città di Castello, la rinnovata pressione del 10° Corpo britannico ha portato la X Armata a dare ordini di un ripiegamento limitato delle ali interne dei due Corpi nella notte tra il 21 e il 22 luglio”.

Il comando della 25a brigata indiana preferì attendere l’indomani per entrare a Città di Castello. Intanto i tifernati rimasti in città attendevano frementi la liberazione. L’eco della battaglia che infuriava sulle colline a oriente aveva suscitato speranza e angoscia nel vescovo Cipriani. Scrisse nel suo diario in 21 luglio: “Stamattina cannoni e mitraglie in attività grande. La mitraglia significa avvicinamento […]. Ore 15: cannoneggiamento intensissimo e pauroso, sparano qui. […] A sera un crescendo continuo di sparatorie. Si prevede un’azione in grande stile. Dio voglia che sia la fine attesa!!!” E la mattina di sabato 22 luglio: “Una notte infernale! Continuo tambureggiamento di cannoni ed anche di mitraglia. Alle ore 2.30 uno scoppio formidabile, che ha fatto balzare tutti e dopo del quale una pioggia di detriti e rumore di rottami di vetri. […] Il ponte è saltato proprio alle 2.30 per opera dei tedeschi in rotta”. Ci riporta a quei drammatici momenti anche il diario del parroco di San Pietro di Garavelle, padre Emilio Cuppoloni, rintanato insieme a una piccola comunità di parrocchiani e di sfollati nel convento degli Zoccolanti, dove più accanita infuriò la battaglia: “22 luglio, sabato. Notte terribile: mai dormito per i continui rombi e scoppi di cannonate e di mine fatte brillare dai tedeschi per completare le loro distruzioni. […] Alle 17 il giovane Marsiglietti Mario ci ha portato l’annunzio dell’arrivo degli inglesi. Finalmente! Ci è sembrato di risorgere da morte a vita. Ci siamo subito tutti inginocchiati davanti a Gesù Sacramentato e Lo abbiamo tanto ringraziato e tanto di cuore, con una devota e commovente intima funzioncina fatta lì in dispensa dove tutti ci trovavamo adunati”.

Considerata ormai definitivamente persa Città di Castello, le ultime retrovie germaniche avevano dunque completato l’opera di distruzione per creare ulteriori difficoltà agli attaccanti. Oltre ad abbattere il ponte sul Tevere, avevano minato l’antica Porta Santa Maria e alcune case a ridosso di Porta San Florido per occludere gli ingressi meridionali della cinta muraria. Inoltre, quando lo squadrone C del 3° Hussars e i genieri discesero dalle colline orientali costeggiando il cimitero, trovarono la città cosparsa di mine e di trappole esplosive. Altri crateri provocati dalle mine tedesche bloccavano il passaggio lungo la circonvallazione e sulla strada nazionale, a sud di Rignaldello.

Il primo ufficiale britannico a entrare a Città di Castello fu, alle 9.30 del 22 luglio, il maggiore Lindsell. Alcuni carri armati presero posizione in piazza Garibaldi, presso la stazione ferroviaria distrutta. Poi il maggiore J. W. Brooke raggiunse il palazzo del Comune e affisse sul portone l’avviso di occupazione da parte degli Alleati. Ai fianchi dell’entrata del municipio furono piantate le bandiere inglese e americana.

Da un punto di vista militare, la liberazione di Città di Castello esaltò le qualità dei reparti corazzati britannici e il 3° Hussars poté fregiarsi per tale vittoria del suo secondo “battle honour” della campagna italiana: “Il Reggimento vantò orgogliosamente che riteneva si trattasse della sola occasione durante la campagna in Italia nella quale una città principale, fortemente presidiata, fosse assaltata e conquistata da carri armati senza alcun supporto della fanteria”. Anche gli storici della 10a divisione indiana riconobbero tali meriti, nel contesto dell’encomiabile condotta dell’intera25a brigata: “L’operazione illustra cosa possono fare i reparti corazzati se viene loro concessa libertà di iniziativa e una ordinaria possibilità di movimento sul terreno. Le caratteristiche principali dell’azione furono la ricognizione a piedi per individuare il punto più idoneo per attraversare il fiume, lo sminamento coraggioso e determinato da parte dei genieri e la grande forza di volontà delle truppe e dei capi squadra nel condurre i loro blindati su per gli alti pendii. L’azione sottolinea anche l’importanza che i reparti corazzati abbiano una propria artiglieria”. Lo stesso comando d’armata tedesco ammise che Città di Castello era caduta “sotto l’attacco di forze blindate eccezionalmente forti”. Questi sviluppi militari negativi per le forze germaniche avvenivano mentre si diffondeva la notizia del fallito attentato ad Adolf Hitler, avvenuto il 20 luglio.

Ormai si apriva davanti agli Alleati il grande bacino della valle del Tevere a nord di Città di Castello. Secondo fonti britanniche, la 114a Jäger Division – ritiratasi sulle colline a nord-est e sulla linea del torrente Selci – aveva perso nella battaglia 9 cannoni e 300 uomini.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.