Manifesto della Lega.
Cartolina della Ferrovia, con il tracciato. La disegnò il litografo Enrico Hartmann.
Un pieghevole con l'orario.

La Lega ferrovieri e l’inizio della mobilitazione

La Lega di miglioramento tra impiegati ed operai della Ferrovia dell’Appennino Centrale fu fondata nell’agosto del 1901 a Città di Castello. Intervennero all’assemblea costitutiva una sessantina di lavoratori; ma altri 120 tra impiegati, operai e cantonieri, impossibilitati a intervenire, si fecero rappresentare. I ferrovieri approvarono lo statuto della Lega, elessero le cariche direttive e stabilirono la sede in un locale in via del Popolo. “Unione popolare” ironizzò sui pochi dipendenti della F.A.C. che non appoggiarono l’iniziativa: “Non hanno aderito solo due o tre krumiri, che raccomandiamo alla direzione per un sollecito e relativo aumento di stipendio!”.

La Lega aderì prontamente alla Camera del Lavoro di Firenze e al Sindacato dei Ferrovieri delle Linee Secondarie, con sede a Milano. Con altrettanta sollecitudine elaborò il memoriale da presentare alla proprietà con le richieste di revisione del contratto di lavoro.

L’azione dei ferrovieri suscitò l’entusiasmo dei democratici altotiberini, che videro premiata  la loro opera di proselitismo. Nel congratularsi per la “coscienza di classe risvegliatasi mirabilmente nel proletariato”, “Unione popolare” assicurò l’opinione pubblica che i ferrovieri non erano mossi da “avida bramosia di lauto guadagno” né da “inconsulto spirito di turbolenza”. Sottolineò invece i benefici prodotti tra i lavoratori dall’accresciuto livello di coscienza di classe: “Mentre prima un tristo e improvvido egoismo faceva sì che anche nel mondo operaio ciascuno fosse nemico di tutti e a tutti muovesse la guerra di una concorrenza spietata che, danneggiando gli altri e se stesso, ridondava a vantaggio dei ricchi e dei forti; oggi invece essi hanno finalmente compreso che la potenza degli umili non è nell’odio che divide, ma nell’amore che affratella, e che solo uniti in compatta falange possono muovere alla conquista di comuni ideali. [… In precedenza invece] le più umili classi lavoratrici, fiaccate e avvilite dal secolare servaggio, si curvavano con incosciente docilità sotto il giogo, e offrivano umilmente al capitale la forza delle loro braccia, da essi implorando, come elargizione pietosa, assai meno di quando ad essi spettava come sacrosanto diritto”.

L’avvio della mobilitazione dei ferrovieri ebbe effetti contagiosi. A settembre vi fu un breve sciopero dei tipografi dello Stabilimento Lapi, la principale industria tifernate: accettarono di tornare al lavoro il giorno successivo solo dopo aver ricevuto esplicite assicurazioni sulla revoca della “posizione di favore creata ad un operaio a danno degli interessi di altri”.

In seguito a questi primi successi, lo stile di “Unione popolare” divenne ben più bellicoso. Definì le agitazioni di ferrovieri e tipografi “le guerriglie e le avanscoperte che tendono inesorabilmente a stringere di forte assedio questi industriali e che preludono alla battaglia campale”. Si trattava solo temporaneamente di una “rivoluzione pacifica e legale”: in quel frangente il movimento dei lavoratori mirava “ad espugnare separatamente, ma da tutte le parti” le trincee nemiche, tenendosi però pronto, nel caso di fallimento di ogni mediazione, a congiungere le forze del proletariato per sferrare “l’assalto simultaneo e definitivo”.