Nell’ambito del ricostituito regime, venne ad assumere un peso rilevante la Guardia Nazionale Repubblicana, ribattezzata dal popolo “bilinciana” per l’aspetto trasandato e la dubbia convinzione di molti militi. Ma, oltre a diversi opportunisti – e a qualche infiltrato – inquadrava anche accesi fascisti. Ne comandò il presidio Dorando Pietro Brighigna. Su di essa ricadde l’onere della repressione della generalizzata renitenza al servizio obbligatorio di lavoro e all’arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale schierato a fianco dei tedeschi. Mentre tanti giovani si rendevano irreperibili, nascondendosi tra la solidale popolazione rurale, e mentre l’afflusso nelle alture di ex prigionieri slavi ed angloamericani e di militari italiani antifascisti creava le condizioni per la formazione delle bande partigiane, la Milizia riuscì a farsi temere nel centro urbano, del quale mantenne un apparente controllo. Ma lo stillicidio di azioni da parte dei “ribelli” a partire dal marzo 1944 ne mostrò l’impotenza a fronteggiare il crescente movimento di resistenza nelle campagne
1. Quando l’attività partigiana divenne una seria minaccia, sia nel pietralunghese, sia nell’Appennino umbro-toscano, sarebbero dovute intervenire in forze le truppe tedesche.
L’attività politica e amministrativa si riduceva quindi al minimo, con la dirigenza del Fascio repubblicano assorbita dalle incombenze dell’assistenza a una popolazione sempre più stremata e della repressione di un’opposizione armata della quale sfuggivano i contorni esatti, ma che incuteva timore per l’intensificarsi degli atti di guerriglia. Da marzo ai primi giorni di giugno giunsero alle autorità perugine 54 missive dall’Alto Tevere umbro che, con crescente imbarazzo e nervosismo, segnalavano incursioni delle bande partigiane. Già il 14 aprile 1944 si parlava di “un considerevole numero di armati” che agivano “con frequenza” nella zona e si riteneva “indispensabile procedere ad azione di rastrellamento”. Altre comunicazioni facevano riferimento a una “grossa banda partigiana” a Pietralunga e a nuclei di “ribelli abbastanza numerosi” sui monti alla destra del Tevere. Orazio Puletti non usò mezzi termini: la situazione – scrisse il 4 maggio 1944 -“[…] ogni giorno peggiora, per il fatto che i ribelli stessi ingrossano le loro file ed i misfatti da essi consumati aumentano di numero”. Lo preoccupavano anche le ripercussioni politiche dell’offensiva degli antifascisti: già diversi militi della GNR avevano “disertato per raggiungere i partigiani alla macchia” e gli iscritti al partito fascista nelle frazioni si sentivano “poco sicuri e niente affatto protetti”.
Il regime non esibiva più la baldanza di un tempo. Percepiva il montante distacco della gente nei suoi confronti; sapeva che chi era riuscito a nascondere un apparecchio radio si sintonizzava con Radio Londra per avere attendibili notizie sulla guerra; si rendeva conto che quel popolo italiano al quale era stata assicurata una trionfale vittoria sopravviveva stentatamente tra le accresciute privazioni, le repentine fughe nei rifugi antiaerei o nei campi per sottrarsi ai bombardamenti e l’angoscia per la sorte dei famigliari alla macchia o sparsi nel mondo in campi di prigionia.