Riforme di notevole portata venivano attuate nel 1847, come l’istituzione della Guardia civica (5 luglio). A Città di Castello essa fu costituita il 25 agosto, e raggiunse i seicento iscritti, divisi in quattro compagnie. Era una innovazione importante, perché per la prima volta gli italiani si sentivano in grado di difendersi da soli e perché una istituzione da sempre considerata propria delle battaglie rivoluzionarie veniva ora attuata sotto l’egida del papa. Tuttavia non fu facile all’inizio avviarne il reclutamento e il funzionamento. Per ottenerla, Filottete Corbucci dovette battersi con petizioni e appelli ripetuti. Anche la scelta degli uomini posti a dirigerla provocò critiche, commenti malevoli, dicerie infondate. Non era facile, insomma, accettare quello che fino ad allora era stato considerato proibito, anche perché gli uomini che avevano preso il comando della Guardia erano quelli che da sempre si erano schierati nelle file dei sovversivi.
Poco tempo dopo, nel verbale del consiglio comunale del 27 settembre 1847, i tifernati esprimono la loro solidarietà al pontefice e allo Stato in occasione della occupazione austriaca di Ferrara; anzi, per dimostrare la loro fedeltà al sovrano, ritengono di dover armare a loro spese la Guardia civica, usando parte della somma che era stata accantonata da tempo immemorabile per l’erigendo Collegio dei Gesuiti, e permettendo così allo Stato di finanziare altre truppe per la difesa delle Legazioni.
Molte cose, d’altra parte, erano cambiate nello Stato pontificio. Tra le innovazioni di quegli anni, volte a mutarne l’assetto militare e poliziesco, conviene citare anche un documento riservato, nel quale la delegazione apostolica di Perugia il 2 settembre 1847 chiedeva al vescovo Muzi di ricercare e denunciare “individui con la patente dei così detti centurioni”, cioè di coloro che costituivano una milizia volontaria armata non rifuggendo dai peggiori delitti. Le disposizioni papali contro le sètte non venivano quindi rivolte più contro le società segrete liberali, ma contro le aggregazioni reazionarie.
In un altro versante, quello dell’educazione, il vescovo Muzi non solo si adoperò a ricostituire le scuole, ma con una Notificazione del 28 ottobre 1847 annunciò la sua intenzione di istituire le Scuole Notturne. In questo modo voleva venire incontro alle necessità dei giovani più disagiati, perché potessero godere dei benefici dell’educazione e dell’istruzione. Il 14 dicembre 1847 una nuova Notificazione annunziava l’inaugurazione delle scuole, delle quali per altro non rimangono altri documenti, presso il convento di Sant’Antonio Abate.
Non era quindi immotivato l’entusiasmo della popolazione per questo stato di cose: un periodo di felicità e forse di illusione nella libertà e nella concordia che sarebbe durato per un paio di anni. Era il momento in cui l’amore patrio era sostenuto dagli echi che provenivano dalle altre parti d’Italia (nel carnevale 1847-1848 a teatro, oltre all’Ernani e a I due Foscari, fu rappresentata l’opera di Verdi I lombardi alla prima crociata), ed era anche il momento in cui, come affermano i testimoni, definirsi italiani e spiegare il vessillo tricolore non era considerato un delitto.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Antonella Lignani nel volume Alvaro Tacchini – Antonella Lignani,“Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).