La Retrospettiva del Ferro Battuto del 1922 permette di delineare un nuovo dettagliato spaccato dell’artigianato meccanico. Parteciparono all’incontro per promuoverla le officine che più propriamente operavano nel settore del ferro battuto, e cioè quelle di Montani, Vincenti, Malvestiti, Margni e la “Falchi & Beccari”; e inoltre la “Ferroviaria”, la “Nardi” di Selci Lama e la “Silvio Taddei” di Lama.
Samuele Falchi e Tommaso Beccari lavorarono insieme fino alla metà degli anni ’20. Proprio all’inizio del decennio il notaio Ettore Cecchini si rivolse a loro per le opere da fabbro nella costruzione della sua villa sul torrione allo sbocco di via San Antonio. Si trattava del primo palazzo moderno eretto sul lato orientale della città e molti artigiani sperarono, anche in seguito alla demolizione delle mura ispirata dai fascisti, che ciò segnasse l’inizio di un’espansione edilizia foriera di nuove prospettive di occupazione. In effetti altri palazzi sarebbero sorti in quell’area nel Ventennio, ma in numero esiguo. Falchi e Beccari realizzarono per la villa di Cecchini le docce di lamiera zincata, il cancello per la cantina, la rete metallica di recinzione, una griglia in ghisa, i battenti, passamano, raschiascarpe e catorci, le balaustre e le ferrature per le finestre, i tubi di scarico per l’acquaio, l’impianto per l’acqua potabile e per gli apparecchi sanitari.
Erano fabbri eclettici. Continuavano ancora a riparare macchine agricole e, oltre al genere di manufatti commissionati da Cecchini, producevano lettighe, casseforti, serramenta, vetrine e letti in ferro, cucine economiche – se ne dotò anche il Seminario – e botti inodore. Nel 1923 fabbricarono le serrande e la vetrina del negozio Buitoni di “piazza di sotto”, uno dei più prestigiosi della città. Nello stesso anno realizzarono i cancelli per le nuove carceri municipali.
Le opere in ferro battuto di maggior pregio di quell’epoca continuarono a uscire dalla loro officina o dal laboratorio, ancora di recente impianto, della Scuola Operaia “Bufalini”. Nonostante il rilievo dato alla produzione più tradizionale, la “Falchi & Beccari” era considerata tecnologicamente al passo con i tempi per le esigenze locali, con la saldatura a ossigeno e un macchinario elettrico composto da due torni, due trapani e una sega.
Benché non mancassero le commesse, l’azienda versava comunque in precarie condizioni finanziarie. Alla fine del 1922 i due soci, per evitare il rischio del fallimento, dovettero affidare l’amministrazione al negoziante – e loro principale creditore – Antonio Monti. L’attivo, costituito del valore delle macchine, delle merci prodotte e da qualche credito, superava di poco la passività e l’officina aveva dovuto aprire un conto corrente con la locale Cassa di Risparmio per acquisire “un congruo capitale liquido” al fine di onorare le scadenze dei debiti cambiari e provvedere all’approvvigionamento della materia prima. Monti si espose come fideiussore, ma ebbe “ampio mandato” di amministratore, con responsabilità totale su “ogni vendita, ogni commissione, ogni altro impegno di carattere finanziario”. A Falchi e Beccari restò ovviamente la gestione tecnica, per la quale avrebbero percepito “un salario fisso settimanale da convenirsi”.
Nel 1926, mantenuta in attività dal solo Beccari, la ditta cambiò denominazione in Società Meccanica Ferro Battuto. Due anni dopo alcune fatture commerciali recavano la firma del capofficina Giuseppe Checcaglini. Questi, poi, costituì con Benvenuto Mastriforti un’altra azienda, dalla breve vita, nella vicina via Borgo Farinario1. Checcaglini fabbricò anche lampadari e cancellini a formelle trecentesche in ferro battuto per il cimitero, balconi e cancellate. Come altri fabbri, faceva i telai in ferro dei letti, applicando poi sui bandoni le reti metalliche acquistate in rotoli. In questo settore, aveva un vasto mercato Nazzareno Benni, proprietario di un negozio di ferramenta e di una rivendita di mobili in corso Vittorio Emanuele II, ma produttore in proprio dei letti con rete metallica nell’officina di via Santa Margherita.
Quanto a Samuele Falchi, ormai anziano e in cattive condizioni economiche, si limitò a qualche sporadico lavoretto in altre officine. Tommaso Beccari invece, dopo lo scioglimento dell’azienda, mise su una piccola bottega di fabbro ed ebbe l’incarico della manutenzione della caldaia degli Ospedali Uniti.