I periodici locali tornarono a parlare di Franchetti dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. Unanimi, lo lodarono per la straordinaria disponibilità a favore delle iniziative assistenziali sorte in quel periodo di emergenza. Fu infatti il più generoso sottoscrittore del Comitato di Assistenza per le famiglie dei combattenti, finanziò in gran parte le Cucine Economiche per i bisognosi, mise a disposizione il palazzo della Tela Umbra per un ospedale militare, fece inviare indumenti ai propri coloni al fronte, donò grano per tenere basso il prezzo del pane. La generosità di Franchetti risaltava anche perché l’atteggiamento di gran parte della borghesia agraria e urbana dinanzi ai sempre più gravi problemi sociali fu definito “scandaloso” dagli stessi esponenti moderati che sostenevano l’impegno bellico italiano.
In quell’ultimo scorcio della sua vita, il barone tornò a far sentire la sua voce autorevole su alcune questioni di rilevanza locale. Allora si dibatteva a livello regionale sulla natura che avrebbe dovuto assumere la costituenda Colonia Agricola Umbra per gli orfani dei contadini caduti in guerra. Franchetti invitò il comitato promotore a recedere dal progetto iniziale: “E’ mia antica opinione purtroppo giustificata dai fatti, che le Colonie agricole, salvo rarissime eccezioni, disamorino i loro alunni dalla terra e formino degli spostati”. Meglio sarebbe stato – a suo parere – curare l’educazione degli orfani presso altre famiglie di contadini e metterli in condizione di acquisire “nozioni più perfette [di agricoltura] mediante corsi teorico-pratici temporanei simili a quelli già in uso presso l’Istituto Agrario sperimentale di Perugia”.
Contestualmente Franchetti continuò a perorare la causa dell’istituzione di una Scuola di Agricoltura a Città di Castello. Seguiva la questione anche il deputato Ugo Patrizi e tra i due scoppiò un’ultima polemica. Patrizi, da tempo accusato dagli interventisti di Città di Castello di appoggiare troppo tiepidamente la guerra, prese le distanze da Franchetti, attribuendogli “pericolosi propositi imperialistici”. Franchetti a sua volta criticò il rivale di un tempo e, a proposito del suo “contegno” riguardo al conflitto, sentenziò concisamente: “Lo disapprovo”.
Nel febbraio di quel 1917, la stampa locale riferì di una conferenza tenuta da Franchetti a Firenze. Il barone auspicò una pace in grado di dare “supreme garanzie per la causa delle nazioni alleate” e stabilire “un equilibrio stabile, risolvendo tutte le questioni che [avrebbero potuto] generare discordie e futuri conflitti”. Quanto alle aspirazioni dell’Italia, ribadì che si riassumevano “nel possesso dei confini naturali e nel predominio militare nell’Adriatico”, nell’affermazione dei suoi interessi coloniali in Africa e nel reclamo di “un possesso nell’Asia Minore”. Quattro mesi dopo i tifernati vennero a sapere che Franchetti aveva visitato il fronte bellico in Albania e in Macedonia e si era convinto della possibilità che si stesse aprendo all’Italia “uno sbocco per la sua espansione nella penisola balcanica e attraverso essa in Russia e in Romania”.
Estratto, senza note, del saggio Le vicende politiche di Leopoldo Franchetti a Città di Castello, di Alvaro Tacchini, in Leopoldo e Alice Franchetti e il loro tempo, a cura di A. Tacchini e P. Pezzino, Petruzzi Editore, 2002.