Scheda di Ermete Nannei compilata dalla Commissione regionale toscana per il Riconoscimento dei Partigiani.
Dario Alberti, uno degli antifascisti arrestati a Sansepolcro.

Interrogatori e tradimento

La vicenda ebbe strascichi importanti nel carcere di Perugia. Vi furono rinchiusi e interrogati i quattro superstiti della banda che non erano riusciti a fuggire: Ermete Nannei, Dorando Gallai, Mario Marcucci e Sergio Lazzerini. Qualcuno di essi parlò, rivelando i nomi dei collaboratori del movimento di resistenza a Sansepolcro. In una sua relazione Claudio Longo, i cui famigliari si salvarono dall’arresto prima della perquisizione della loro abitazione, lanciò accuse precise: “Nannei spontaneamente tradisce la nostra causa rivelando dettagliatamente i particolari della nostra organizzazione. […] Tutti i nostri collaboratori di Sansepolcro vengono arrestati”. Anche le prime notizie giunte al riguardo a Città di Castello puntavano l’indice contro Nannei. Si legge nella Cronaca di Pierangeli: “Il capo militare in carcere [Nannei, n.d.a.] poi avrebbe fatto rivelazioni sui finanziatori del gruppo”.
Resta inoltre la testimonianza di uno degli arrestati, Sergio Lazzerini. In carcere, Gallai e Marcucci gli avrebbero confidato che Nannei, “in un momento di esasperazione”, aveva parlato, “denunziando anche il CLN di Sansepolcro ed alcuni di Arezzo”. Lazzerini asserì che lo stesso Nannei gli avrebbe confermato la cosa, mentre lui e gli altri, nonostante le pressioni, non rivelarono nulla. Quanto alla sua sorte, Lazzerini rivelò che i fascisti gli promisero salva la vita se si fosse unito a loro: “Lessi nei loro occhi che dalla mia risposta dipendeva la mia vita e risposi SI”. Testimone del tradimento di Nannei fu pure uno degli antifascisti arrestati a Sansepolcro in seguito alle sue rivelazioni, Dario Alberti: in un faccia a faccia in prigione, Nannei confermò ai fascisti le accuse contro di lui.
Nel suo Memoriale, il capo della Provincia Armando Rocchi non fece cenno ad alcun interrogatorio – da parte sua – dei partigiani arrestati. Menò vanto, invece, di aver loro salvata la vita. Scrisse: “Alla data del 9 giugno, io ero venuto nella determinazione di rimettere in libertà, assieme ai detenuti con reati comuni a sfondo politico, anche quei catturati armati, che, invece di essere passati per le armi, erano stati ristretti nelle carceri”. Sottolineò che “l’ambiente fascista era in fermento” per questi suoi “eccessi”, perché – asseriva – “esistevano dei limiti di generosità, oltre i quali non era lecito andare”. A dire di Rocchi, tali considerazioni avevano “un profondo e fondato motivo di etica e di logica”. Tuttavia, “dopo maturo ed attento esame di coscienza”, decise di liberare, insieme ad altri partigiani, quelli di Villa Santinelli, adducendo che, per quanto “correi” della morte dei due militi fascisti, mancavano le prove che fossero stati proprio loro gli autori.
Per salvare la vita, dunque, sia Lazzerini che Nannei accettarono di arruolarsi nella GNR. Ma dopo pochi giorni disertarono. Lazzerini tornò alla macchia e portò con sé Nannei. Raggiunsero i monti di Sansepolcro per rintracciare i compagni e riprendere l’attività partigiana.
Intanto, però, sia per la repressione poliziesca seguita ai fatti di Villa Santinelli, sia per le conseguenze del sanguinoso rastrellamento nazi-fascista del 3-6 giugno 1944 sull’Alpe della Luna e sulle alture circostanti, il movimento di resistenza di Sansepolcro viveva una fase di grave sbandamento e dispersione. Inoltre già circolava il sospetto che a provocare l’incarceramento degli antifascisti biturgensi fosse stato Nannei. Lo stesso Comitato di Liberazione Provinciale di Arezzo ne aveva ordinato l’eliminazione fisica.
In effetti l’avventura di Ermete Nannei finì di lì a poco. Il 14 luglio alcuni compagni alla macchia lo bloccarono nella frazione Montagna di Sansepolcro. Era loro intenzione disarmarlo e arrestarlo. Ma lui fece fuoco per sottrarsi alla cattura e fu colpito a morte.

Testo privo di note tratto da Alvaro Tacchini, La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017.