Il periodico progressista tifernate.
Cartolina di piazza Garibaldi; sullo sfondo la stazione.
Altra immagine della stazione.

Inizia lo sciopero a oltranza

Sabato 12 ottobre 1901 nessun treno solcò la valle: iniziava così il lungo sciopero a oltranza.

Quella ferrovia inoperosa, con quei treni fermi nelle stazioni, assumeva un grande valore simbolico: per la prima volta nell’Alta Valle del Tevere, un’intera categoria di lavoratori osava mettere in discussione rapporti di dipendenza da sempre fondati su una incontestata subalternità e sul paternalismo; e osava sfidare una controparte forte, senza radici locali: una società con capitale estero che mirava al puro e semplice profitto e alla quale ben poco interessava lo sviluppo sociale ed economico della valle.

Il sindaco di Città di Castello telegrafò immediatamente al ministro dei Lavori Pubblici, comunicando l’interruzione del traffico ferroviario – “con danno gravissimo generale” – e prefigurando tempi lunghi e ardui per la soluzione della vertenza.

Lo stesso 12 ottobre – si legge nella cronaca del periodico democratico – “varie pattuglie di carabinieri, nonostante il contegno dignitosissimo degli scioperanti, perlustravano le vie della città armate di revolvers e di moschetto”.

La mobilitazione delle forze dell’ordine parve eccessiva agli scioperanti. In quei primi giorni il braccio di ferro si protrasse in un clima di assoluta moderazione. I ferrovieri mantennero un contegno “calmo e dignitoso”, anche per il ruolo svolto dai loro leader: Cabrini era infatti “un socialista che non amava le frasi ad effetto” e la saggezza dell’avv. Massa seppe frenare “le giuste indignazioni degli animi più accesi”. Imponenti ma disciplinati comizi di sostegno ai lavoratori in lotta si tennero martedì 15 a Umbertide e giovedì 17 ottobre a Città di Castello.

Per garantire i collegamenti tra i vari centri altotiberini, per infondere coraggio ai colleghi e per prevenire lo scoraggiamento di quelli meno motivati, gli scioperanti attivarono un servizio di informazioni lungo la linea in bicicletta e con vetture a cavalli. Naturalmente la controparte non stette con le mani in mano. Convinse alcuni a tornare al lavoro: gli altri ferrovieri li bollarono con il termine dispregiativo di  “krumiri”. Inoltre, a dire di “Unione popolare”, “furono tentati dei treni con inganno perfino alle autorità, ma furono ricevuti dalle popolazioni con fischi, sassate ed… altro…”.

La situazione di stallo si protrasse per alcuni giorni. Il quotidiano perugino “Unione liberale” lanciò l’allarme per i “gravissimi danni” arrecati dallo sciopero al movimento commerciale e postale, con “enormi quantità di merci” bloccate nelle stazioni e i prodotti più deperibili ormai irrecuperabili. L’interruzione delle comunicazioni stava inoltre alimentando la speculazione di altri addetti ai trasporti: “La poche vetture che si trovano disponibili chiedono prezzi favolosi per brevissimi tragitti”. Il giornale criticò l’inazione del governo, incapace di intervenire efficacemente nella vicenda.

La società belga fece qualche ulteriore concessione, che parve però del tutto inaccettabile: “ai piccolissimi aumenti concessi a parte del basso personale” – scrisse “Unione popolare” – “si contrappongono diminuzioni sensibili agli stipendi del personale di trazione e di stazione”; inoltre, riguardo alla cruciale questione dell’organico, era forte il rischio di perdere posti di lavoro. Anche quando la proprietà si decise infine a inviare a Città di Castello un suo rappresentante, Van Overbecke, questi ritoccò gli aumenti salariali ma non dette alcuna assicurazione sull’organico.

Intanto cominciavano a muoversi le amministrazioni locali. I consigli comunali di Pieve Santo Stefano e di Anghiari votarono un ordine del giorno che definiva “legittime e giuste” le richieste dei ferrovieri e proponeva “una riunione dei rappresentanti dei comuni consorziati”. Questa prima presa di posizione indusse i democratici tifernati a lamentare l’inazione delle giunte comunali di Umbertide e Città di Castello e del deputato altotiberino Leopoldo Franchetti, che presiedeva pure il Consorzio di enti locali per la Ferrovia Appennino Centrale.

A fronte di ciò cresceva la solidarietà popolare verso gli scioperanti. La Società Operaia di Città di Castello – associazione di mutuo soccorso – aprì una sottoscrizione pubblica a loro favore. Messaggi di sostegno giunsero, oltre che dalle organizzazioni politiche democratiche, dai tifernati residenti a Nizza e dai ferrovieri di Milano, della Sardegna e di Taranto, usciti vittoriosi da un recente sciopero.