In epoca fascista l’economia tifernate rimaneva prevalentemente agricola. E l’agricoltura era alla base di alcune delle attività industriali più cospicue, come la manifattura dei tabacchi e la fabbricazione delle macchine agricole.
Alla fine degli anni ’20, più di un terzo dei 31.000 residenti si dedicavano con prevalenza all’agricoltura, che costituiva un’occupazione secondaria per altre 4.000 persone. Si coltivava frumento in circa un quarto della superficie agraria, le altre colture, in ordine decrescente di importanza, erano granturco, fave da seme, patate, orzo, avena. Si stava espandendo la coltivazione del tabacco e mantenevano grande rilievo l’allevamento e la produzione del vino.
Nel centro urbano abitavano quasi 9.000 persone. Da un punto di vista quantitativo, l’industria più importante era ormai la Fattoria Autonoma Consorziale Tabacchi: nel suo magazzino per la raccolta, la cernita e l’imbottamento del prodotto conferito dagli agricoltori arrivarono a lavorare, alla fine degli anni ’30, 793 persone, in gran parte donne. Tuttavia l’industria tifernate continuava a identificarsi prevalentemente con le tipografie. Vissero un prolungato periodo di stabilità, producendo libri e riviste per prestigiosi editori nazionali. Davano lavoro a circa 300 persone, che rappresentavano oltre il 30% del totale degli addetti del settore nella provincia. A metà degli anni ’30 la “Lapi” aveva 90 dipendenti, la “Leonardo da Vinci” 85, l’“Unione Arti Grafiche” 75, la Tipografia Grifani-Donati 10, la Scuola Tipografica Orfanelli del Sacro Cuore 8.
Nel campo della meccanica, non avevano resistito all’usura del tempo e alla scarsezza di mezzi finanziari le imprese di grandi protagonisti di inizio secolo, come Attilio Malvestiti, Samuele Falchi e Tommaso Beccari. Conservarono un numero modesto, ma stabile, di dipendenti le officine “Godioli & Bellanti”, “Vincenti” e Ferroviaria. Crebbe invece in modo straordinario la “Francesco Nardi & Figli”, trasferitasi nel frattempo dal territorio tifernate a Selci Lama, in quello sangiustinese: nella fabbricazione delle sue macchine agricole arrivarono a lavorare fino a 189 operai. Inoltre un figlio di Francesco, Giovanni, a metà degli anni ’30 promosse a Città di Castello la “Nardi & Rossi” (poi SAFIMA), che ebbe tra i 60 e gli 80 dipendenti. Altre imprese minori sorsero nelle frazioni, come la “Fratelli Spapperi” di Lerchi e la “Fratelli Pei” di Piosina All’espansione di questa industria concorse anche la Scuola Operaia, alimentandola di giovane mano d’opera tecnicamente capace. E non a caso proprio in quegli anni gli allievi cominciarono ad iscriversi prevalentemente al settore meccanico della “Bufalini”.
Assai meno dinamica si mostrò in quell’epoca l’industria della lavorazione del legno. Si elevarono a un livello di piccola industria solo lo Stabilimento Lavorazione Legnami di Via della Fraternita e la Falegnameria Cristini, dietro alla stazione ferroviaria del tempo. Esdra Agnellotti, comproprietario dello Stabilimento Lavorazione Legnami, e i fratelli Quinto e Torello Cristini erano stati tra i primi allievi della Scuola Operaia.
Negli altri settori produttivi si distinguevano il Laboratorio Tela Umbra, con 30 addetti, il Lanificio Giornelli, con 10, il “Fornacione” a sistema Hoffman di GioBatta Santinelli e la Fornace a sistema Lanuzzi di Luigi Massetti di Riosecco, che davano lavoro a metà degli anni ‘30 a un’ottantina di operai, e le imprese edili di Domenico Bistoni e di Bernardo Andreoni.
Per il resto brulicavano ancora nei vicoli della città, nei suoi sobborghi e nelle frazioni botteghe artigiane di ogni genere. Alcune stentavano a sopravvivere; in altre dei bravi “maestri”, pur costretti a ogni genere di lavoro per sbarcare il lunario, riuscivano a produrre manufatti di alta qualità, perpetuando le tradizioni dell’artigianato artistico.