Immagini di una gita: Lapi è indicato dal punto rosso.
Il testamento di Lapi
Con il suo testamento, a conferma dello stretto legame con i dipendenti, Lapi espresse il desiderio di lasciare in eredità la tipografia – “pensiero e faro” della sua vita – in “proprietà cooperativa, in ragione del tempo che ha appartenuto ciascuno allo Stabilimento, di tutto il personale”. L’eccezionale gesto mantenne solo un valore simbolico, perché il grave indebitamento e obbiettive difficoltà giuridiche all’epoca della morte del fondatore (1903) impedirono la trasformazione dell’azienda in cooperativa di operai-eredi. Anzi, gli amministratori dovettero affrontare con tempestività e coraggio una situazione di emergenza che ne metteva a repentaglio la stessa sopravvivenza. Essa fu salvata razionalizzando l’impiego del personale e potenziando il macchinario; si riuscì anche a garantire un futuro alla ristampa dei Rerum Italicarum Scriptores del Muratori, la più sentita realizzazione editoriale di Lapi.
Proprio le sorti dell’editoria tifernate ebbero in particolar modo a soffrire per la sua morte. I nuovi amministratori, sensibili più alle esigenze di bilancio che alle tradizioni culturali, dettero priorità alla stampa di opere per conto degli autori e non svilupparono ulteriormente l’attività editoriale. Ne conseguì un suo progressivo declino, tanto che nei decenni a venire, per quanto l’industria tifernate continuasse ad affermarsi, le iniziative in tale settore avrebbero giocato un ruolo assai marginale.