Pochi giorni dopo, l’8 giugno, festa del Corpus Domini, un ampio rastrellamento attuato dalla S.S. e dai fascisti repubblicani investì San Giustino e Sansepolcro. Ad alcuni era giunta voce che si stesse preparando un’azione del genere, ma chi possedeva il tesserino rosso della “Todt” riteneva di non andare incontro a rischi. “Ci avevano detto che a quelli che lavoravano con la ‘Todt’ non gli facevano niente.” – racconta Angelo Boni – “E allora siamo usciti dal nostro nascondiglio”. E Domenico Celeschi: “I fascisti ci dissero di non temere niente, ci portavano a Sansepolcro per il controllo dei documenti”.
A Luigi Fancelli, a Sansepolcro, non giovò l’autorizzazione scritta per recarsi alla “Buitoni” durante le ore del coprifuoco: “La mattina alle 4 e mezzo un tedesco e un fascista mi fermarono alla curva della stazione. Mi domandarono:
‘Lei dove va?’.
E io: ‘Vado a lavorare’.
‘No – mi dissero – oggi lavoriamo noi’.
‘Come sarebbe a dire: io ci ho il permesso…’
‘No, no… lei venga con noi’”.
I rastrellati di San Giustino furono condotti a piedi a Sansepolcro e aggregati a quelli del posto. Il controllo dei documenti di congedo militare o delle varie autorizzazioni servì a poco. Il loro destino era segnato. Sotto lo sguardo di una folla di parenti impotente e angosciata, i tedeschi li fecero salire su due camion sotto la minaccia delle armi.
I fascisti locali conoscevano bene gli intenti dei tedeschi. Lo testimonia Luigi Fancelli:
“Io chiesi al podestà Renato Bizzarri: ‘Signor Bizzarri, ma che ho fatto? Io ho 19 anni, dove mi portano?’
Mi rispose: ‘Guarda che questi sono intenzionati a portarti in Germania’. Poi mi disse che non ci poteva far niente e mi rassicurò:
‘È preferibile che tu vada in Germania, che ti fanno lavorare. Tu vai via come civile, non vai via come politico’”.
Un viaggio notturno portò il convoglio da Sansepolcro al carcere delle Murate di Firenze, dove venne trattenuto il maestro sangiustinese Raffaello Fabbrini. La mattina del 9 giugno i prigionieri furono rinchiusi nel Castello dell’Imperatore, a Prato, insieme ad altri rastrellati toscani ed emiliani. Vi rimasero fino alle prime ore del mattino del 12 giugno, quando i tedeschi, con modi burberi, li fecero salire su dei camion per un nuovo trasferimento. Nel frattempo qualcuno era evaso avventurosamente, calando una corda improvvisata da una finestra del castello; altri, di Sansepolcro, ebbero la fortuna di non trovare posto nei camion e rimasero a Prato: li misero a lavorare alla linea ferroviaria, ma per lo più riuscirono a fuggire.