Conferimento di tabacco alla Fattoria negli anni ’30.
Le maestranze della Fattoria nel 1930.
Nelle foto, asilo nido dello stabilimento (1928).

Il quadro economico

 

Gli effetti della grave crisi economica internazionale innescata dal crollo della borsa americana nel 1929 si riverberarono con il tempo anche localmente. Nel redigere il rendiconto dell’esercizio 1931 della Cassa di Risparmio tifernate, il commissario Rodolfo Bruscagli ammise che una zona essenzialmente agricola come l’Alta Valle del Tevere aveva “veramente incominciato nel 1931 a risentire profondamente della crisi generale”, suscitando un “principio di sconforto tra le nostre operose popolazioni rurali”. Erano soprattutto le gravi condizioni dell’allevamento del bestiame ad assorbire “qualunque modesto margine di reddito delle aziende agricole”. Per fortuna si coltivava il tabacco che – aggiunse Bruscagli – “per ora, rappresenta, mercé l’efficace assistenza del Governo, la principale fonte di reddito per i numerosi agricoltori cui è concesso di coltivarlo”.
Il tabacco stava dunque imponendosi come una imprescindibile fonte di profitti per l’economia agricola altotiberina; soprattutto in un momento storico nel quale l’indebitamento crescente avrebbe provocato uno strascico di liquidazioni di “molte posizioni insostenibili”. Alcuni dati statistici degli anni 1928-1931, riferiti al comune di Città di Castello, permettono di delineare il contesto agricolo nel quale operava la Fattoria. Dei 31.075 residenti accertati nel censimento del 1931, il 34% si dedicavano prevalentemente all’agricoltura; per un altro 12,8% si trattava di un’occupazione parziale. Il 22,3% della superficie agraria e forestale, pari a 8.297 ettari, era coltivato a frumento. Il tabacco rappresentava la quarta coltivazione per superficie occupata, con 552 ettari; più estese le coltivazioni del granoturco, con 792 ettari, e delle fave da seme, con 745. Minore rilievo avevano invece le patate, l’orzo, l’avena e le barbabietole da zucchero. I filari di viti attraversavano il 28,4% della superficie agraria e forestale.
Per quanto riguarda invece lo scenario dell’industria, che si ramificava in una città di quasi 9.000 abitanti, la Fattoria rappresentava ormai lo stabilimento, e l’attività produttiva, che dava lavoro a più persone. L’altra grande industria, la tipografica, occupava circa 300 addetti: alcune annotazioni statistiche municipali risalenti agli anni 1927 e 1933 ne attribuivano circa 90 allo Stabilimento Lapi, tra 85 e 105 alla “Leonardo da Vinci”, tra 58 e 75 alla “Unione Arti Grafiche”. Nel 1928 i settori del legno e della meccanica occupavano rispettivamente 68 e 66 addetti. Nell’industria della falegnameria emergevano due aziende: la “Cristini” e la Società Lavorazione Legnami; a metà degli anni ‘30 contavano complessivamente una ventina di operai. Quanto alle officine meccaniche, mantennero un’apprezzabile dimensione solo la “Vincenti”, la “Godioli & Bellanti” e l’officina ferroviaria. Stava crescendo la “Nardi”, da tempo però trasferitasi dalla frazione tifernate di Giove a Selci Lama, nel limitrofo territorio di San Giustino. Nel campo della tessitura e dell’abbigliamento, degne di considerazione erano solo il Laboratorio Tela Umbra, che mantenne circa 30 operaie, e il Lanificio Giornelli, con 10 dipendenti. Vi erano poche altre aziende di un qualche rilievo. Le due principali fornaci di laterizi – il “Fornacione” a sistema Hoffmann e la “Massetti” di Riosecco – davano lavoro a metà degli anni ‘30 a un’ottantina di operai.