Tomba del “polacchino” nella Cappella dei Martiri della Libertà del cimitero tifernate.
La via a lui dedicata nella periferia.

Il “polacchino”. Testimonianze su un partigiano senza nome

Pochi sanno, percorrendo a Città di Castello Via del Polacchino – una delle strade più importanti della periferia – che è intitolata a un giovane partigiano polacco della Brigata Proletaria d’Urto “San Faustino”. Si chiamava Enrico e poco altro si sa di lui, a parte la nazionalità. Anche le testimonianze di chi gli fu compagno di lotta non sono concordi. Secondo Pasqualino Pannacci e Livio Dalla Ragione era un disertore tedesco. Il romagnolo Nullo Sagradini ebbe a raccontare: «A Città di Castello riuscii a far fuggire un giovane polacco da un gruppo di soldati tedeschi e a farlo accompagnare a Pietralunga». Una giovane donna di Castelguelfo, che incontrò il “polacchino”, disse di lui: «Non parlava una parola d’italiano. Era scappato da un campo di prigionia ad Ancona, portando con sé un bellissimo cavallo bianco da corsa». Anche per Alfredo Baldelli (“Araf”), si trattava di un prigioniero dei tedeschi sfuggito alla loro custodia. Baldelli ne conservava un ricordo chiaro e affettuoso: «Quando è scappato, ha dormito in un capanno con me. Aveva una borsa piena di tabacco sfuso; siamo stati tutta la notte a fumare sigarette… Il “polacchino” aveva in una gamba una buca così… una ferita grossa… Era piccolino, magro, un ragazzino; sembrava che avesse meno di 18 anni. Simpatico, estroverso, parlava un po’ d’italiano e ci si intendeva bene». Ilcomandante della Brigata, Stelio Pierangeli, ne parlò come di un giovanotto di 20 anni che chiese di arruolarsi verso la metà di giugno 1944: «Era un momento assai critico per noi, perché impegnati da preponderanti forze tedesche; il momento era tragico e noi non ci perdemmo nel chiedergli chi fosse: il suo viso aperto, i suoi occhi luminosi e la sua franchezza ci fecero aver fiducia in lui».
Notizie dunque frammentarie, talora confuse. Certo è che Enrico il “polacchino” morì il 9 luglio a Pietralunga. Questa la testimonianza di Livio Dalla Ragione: «Ho un ricordo romantico di questo ragazzo, che mi  morì tra le mani. Ebbi anche un po’ di rimorso, mi sentii corresponsabile, perché era lì in mezzo a noi e morì lui». E Nullo Sagradini: «Enrico dormiva in una scuola rurale, vicino a Pietralunga. Fu colpito da una scheggia. Tornai e lo trovai morto. Fu un dolore immenso. Era come un fratello per me». Queste testimonianze smentiscono quanti attribuirono la morte a fucilazione da parte dei tedeschi.
Il “polacchino” è sepolto nella cappella dei Martiri della Libertà, nel cimitero di Città di Castello, insieme a Venanzio Gabriotti, ad Aldo Bologni e ad altri giovani caduti nella lotta di liberazione. Il lungo e spazioso viale del rione La Tina-Salaiolo gli è stato intitolato nel 1965.